Nella città senza nome in cui è ambientato Il canto degli innocenti di Piergiorgio Pulixi un’assassina uccide con una novantina di pugnalate la sua rivale in amore. Purtroppo si tratta di routine quotidiana per la polizia, se non fosse per un particolare: l’omicida ha tredici anni.
Vito Strega, commissario, è praticamente un supereroe: ha tre lauree (psicologia, filosofia e giurisprudenza), è riflessivo, pur se estremamente istintivo, e riesce rapidamente a capire cose che i suoi colleghi neanche intravedono, tanto che è considerato indispensabile anche dai nemici che si è fatto in questura; tutti ripongono sulle sue spalle aspettative altissime, un fardello opprimente che tuttavia lui porta con la forza che gli deriva dalla missione di giustizia che lo motiva nel suo lavoro. E’ pure bello, coi suoi affascinanti occhi neri e la sua stazza imponente e virile. L’uomo perfetto, insomma. Ma anche i migliori nascondono macchie e crepe insanabili: Vito, infatti, è appena stato sospeso e costretto a degli incontri con una psicologa dopo che ha ucciso, “per fatalità”, Jacopo Di Giulio, il collega con cui faceva coppia fissa. La sua vita privata, al momento, non è molto migliore: Strega è ancora perdutamente innamorato della ex moglie, che lo ha lasciato per un altro e nonostante le sue ripetute insistenze non pare intenzionata a cambiare idea. La letteratura di genere ci insegna da sempre che non è facile vivere con uno sbirro, e Vito Strega non fa eccezione: prende troppo a cuore i casi, le sue ossessioni non lasciano spazio ad una vita normale.
Sotto la scorza del poliziotto d’acciaio si nasconde quindi un uomo fragile, dal passato doloroso, incapace di elaborare il lutto di un addio definitivo e per questo sempre pericolosamente vicino a compiere sciocchezze. Non è uno che rinuncia, insomma, nemmeno sul lavoro; anche se ufficialmente è stato sospeso e non potrebbe indagare, il numero crescente di omicidi compiuti da adolescenti lo mette in apprensione: delitti efferati, ragazzi preda di una violenza incontenibile che esplode quasi in contemporanea, senza però che tra i killer ci sia apparentemente alcun legame. Freddi assassini che non mostrano alcun segno di pentimento e che non scappano una volta compiuta la loro vendetta, sostenuti da una fede incrollabile. Da dove arriva tutto questo odio che li ha spinti ad azioni tanto atroci? Sono pilotati? È quello che pensa Vito: qualcuno li sta manipolando per ordire un piano criminale terrificante e, al momento, incomprensibile. Le voci delle vittime urlano nella testa del commissario e non gli permettono di lasciar perdere, a costo di mettersi nei guai. Tanto, in questura, dopo la morte di Jacopo lo odiano già tutti. Stavolta gli scatti di violenza e la cocciutaggine possono costare molto caro a Strega, ma egli è disposto ad anteporre la giustizia per le vittime a tutto, persino al suo futuro in polizia.
I casi però, sono ufficialmente chiusi: gli assassini sono stati presi, inutile perderci ancora tempo e denaro. Vito potrà allora fare affidamento solo sull’ispettore Teresa Brusca, la sua migliore amica e confidente. A dire il vero lei, seppur sposata, vorrebbe di più, ma per non perdere il rapporto così intimo che li lega è disposta ad accontentarsi; saprà reggere il cuore in questa situazione sentimentalmente contorta?
Di fronte alle insistenze di Teresa il suo superiore le concede altri tre giorni per trovare qualche connessione tra gli omicidi che giustifichi l’ipotesi di una mente comune dietro i delitti. La caccia al Burattinaio (come lo ha soprannominato Strega) ha i minuti contati; ogni momento che passa è un istante in più lasciato ai suoi diabolici piani, mentre l’armata dei ragazzini killer continua a colpire efferata ed il conto delle vittime sale implacabile.
Pur non potendosi definire un giallo classico, questo romanzo conserva una caratteristica tipica del genere sempre meno presente nella narrativa contemporanea: la possibilità per il lettore di formulare la sua ipotesi tramite alcuni indizi sparpagliati nel racconto.
Uno stile asciutto ma efficace, quello di Pulixi, che distribuisce con equilibrio frasi ad effetto e qualche piccolo colpo di scena; una scrittura tranquilla che gioca coi cliché noir sfruttandoli appieno ma evitando un’insistenza che avrebbe nuociuto al romanzo, preferendo alludervi chiaramente ma con leggerezza in una prosa molto scorrevole e piacevole, regolare senza mai esser banale.
Soprattutto nella seconda parte del libro Pulixi calibra bene l’alternanza dei capitoli, lasciando in sospeso, grazie anche al climax dell’azione, la curiosità del lettore.
La corsa contro il tempo termina in un finale aspro, inaspettato, potente nella risolutezza con cui rifiuta l’happy end. Ma è davvero la conclusione? La risposta è sicuramente no: Il canto degli innocenti è infatti il primo capitolo di una serie composta da ben tredici episodi, che nelle intenzioni dell’autore sarà “un mosaico completo della malvagità in tutte le sue sfumature”, per usare le parole presenti in quarta di copertina. Rivedremo quindi Vito Strega e ci sarà il modo di annodare tutti i fili lasciati in sospeso in questa sua prima avventura, di cui possiamo già intuire gli esiti futuri. La figura forse più interessante del romanzo, l’enigmatica femme fatale Marina, ha ad esempio ancora molto da dare. Non resta dunque che aspettare che Pulixi torni ad intonare i suoi Canti del Male.
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- Pulixi, Piergiorgio (Autore)
Articolo protocollato da Nicola Campostori
Libri della serie "I canti del male"
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