Daniel Silva non ne sbaglia una. Siamo alla ventitreesima puntata della serie di Gabriel Allon e ancora l’autore americano riesce a tenerci incollati al suo libro, che si chiama “Il collezionista” ed esce in Italia per HarperCollins (traduzione di Seba Pezzani). Anche in questo caso, si viaggia ampiamente in giro per il mondo, con un ruolo di primo piano per l’Italia e una particolare attenzione alla guerra russo-ucraina, in una spy story all’ultimo respiro dove compare per la prima volta una nuova eroina che pare essere destinata a non abbandonarci presto (come ci svela l’autore nell’intervista a fine libro): la danese Ingrid Johansen.
Ad Amalfi viene assassinato un collezionista di opere d’arte e, quando la polizia arriva a fare il sopralluogo, scopre che è stata sottratta una preziosissima opera d’arte: il “Concerto a tre” di Vermeer, che era stato trafugato da un museo di Boston diversi anni prima. Nel tentare di comprendere quanto è successo, la polizia italiana decide di rivolgersi a Gabriel Allon, che seppure in pensione dai servizi segreti israeliani e in attività come restauratore a Venezia, si presta volentieri a questa “collaborazione occasionale”. Grazie alle sue conoscenze nel mondo dei mercanti d’arte e ai suoi rapporti mai interrotti con i servizi segreti di mezzo mondo, in breve tempo Allon riesce a scoprire chi ha commissionato il furto. Il resto del romanzo è una sorta di caccia al ladro internazionale, con tanto di intrigo geopolitico e di rocamboleschi inseguimenti.
Gabriel Allon non riesce a darsi pace. Sebbene la moglie Chiara lo voglia tranquillo accanto a sé, nel suo mestiere di restauratore, lui ha l’attitudine naturale allo smascheramento dei trafficanti internazionali e la vocazione all’indagine che risolve i delitti. Come appare chiaro dall’intervista a fine libro, Silva è orgoglioso del suo eroe e capisce che il mix tra l’agente segreto e l’esperto d’arte ha generato un personaggio unico, molto affascinante e alla continua ricerca di nuove avventure. In questa occasione, la vicenda di Allon si intreccia fortemente alla realtà, perché il furto del Vermeer viene legato fortemente da Silva alla guerra russo-ucraina. Sono parole dure quelle che escono dalla penna dell’autore americano, parole di condanna totale nei confronti della Russia, non nuove nell’opera di Silva e fortemente ribadite nella nota finale dell’autore.
Inutile dire che l’intreccio è costruito con grande capacità, Silva ci ha abituato alle sue avventure e tutto è curato nei minimi dettagli, sia per quanto riguarda le informazioni di contesto, sia relativamente alla costruzione dei personaggi. In un intreccio tra finzione e realtà che riesce a bilanciare bene le due dimensioni e risulta sempre molto credibile. Come dicevo prima, compare poi ne “Il collezionista” un nuovo personaggio femminile. Ingrid Johansen è una professionista della cyber-sicurezza ( e quindi del cyber-crimine), al confine tra la violazione della legalità e la capacità di bloccare le intrusioni più sofisticate, che entra anch’essa nel romanzo per una sua caratteristica peculiare che qui non sveliamo per non fare spoiler rispetto alla suspense della vicenda.
Una storia, questa di Silva, che esce un po’ dalle avventure senza tempo di Allon che ricordano un po’ James Bond, un po’ Mission Impossible e a tratti anche l’indiana Jones di Spielberg, per entrare in una dimensione molto più aderente alla Storia reale, intrisa di fatti e quotidianità che siamo abituati a ricevere nelle notizie che ascoltiamo dai media tutti i giorni. Alla luce di questo, “Il collezionista” finisce per essere un romanzo di denuncia, una spietata e lucida analisi di una situazione geopolitica ribollente e instabile, mai come ora vicina a un pericoloso rischio di escalation. Questo è quello che capisce Gabriel Allon, che interviene anche se in pensione proprio perché percepisce che l’equilibrio di oggi ha bisogno di essere rafforzato, ha bisogno di persone coraggiose che riescano a contrastare chi ha fatto della guerra il proprio giocattolo personale. Giocattolo funzionale ad accrescere non solo il proprio potere e il proprio prestigio, ma anche e soprattutto il proprio conto in banca. È da loro che dobbiamo guardarci se vogliamo un mondo di pace che, come diceva il grande Brecht, sia un mondo che non ha bisogno di eroi.
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Articolo protocollato da Giuliano Muzio
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