Dopo un anno di convalescenza in seguito ad un accoltellamento che l’ha quasi ucciso, il sergente Logan McRae della polizia di Aberdeen torna in servizio, e non poteva succedere in un momento peggiore: si ritrova infatti subito tra le mani un caso d’omicidio. Vittima, un bambino di quasi quattro anni. Ed è solo l’inizio: presto sparisce un altro bimbo ed affiorano nuovi cadaveri. Per l’esordio del suo personaggio, Stuart MacBride ha preparato un viaggio nell’orrore, e lo accompagna con una prosa fredda, un realismo che mostra gli aspetti più oscuri del male incanalandoci nella ricerca di un serial killer che è la summa di ciò che rigettiamo con più ripugnanza: un maniaco che rapisce, uccide e mutila i bambini prima di violentarli.
Come se non bastasse, presto viene affidato a McRae anche un secondo caso. Si tratta di un tizio ripescato dalla baia, senza rotule; l’occasione giusta per farsi un giro nei bassifondi della città scozzese a caccia degli allibratori più spietati, tra giornalisti pescecani (ma irresistibili) e viscidi avvocati senza morale.
Il collezionista di bambini non è dunque concentrato su un’unica storia: si intrecciano tante trame e si ha l’impressione di seguire davvero la vita reale di un poliziotto. MacBride pone molta attenzione alla routine dello sbirro, fatta di piste che si rivelano buchi nell’acqua e deviazioni fortuite, ma anche di giornate senza orari, alimentazione discutibile e molta burocrazia. Da questo flusso continuo di quotidianità ogni tanto emergono momenti di profonda umanità: l’annuncio ai genitori del decesso dei figli è ad esempio una di quelle circostanze che lo scrittore coglie con sapienza (e senza calcare la mano) nella loro tragicità, talvolta intrisa di cupa ironia.
Tutta la triste vicenda è pervasa dalla morte, ed in particolar modo dai suoi aspetti fisici, a partire dalla decomposizione: il suo fetore impregna le pagine e i protagonisti ed è simboleggiata dalla incredibile figura di Roadkill, l’impiegato comunale che si occupa di rimuovere le carcasse degli animali dalle strade di Aberdeen.
Lo scrittore ha depurato tutti gli ingredienti classici del genere dall’epica del noir, senza per questo togliere un solo grammo di fascino alla storia e ai personaggi. McRae è dunque un poliziotto abituato alla durezza del suo lavoro ma lo svolge senza l’afflato del martire per la Causa, semplicemente cercando di fare il proprio dovere spinto da un senso di giustizia di fronte agli orrori coi quali si confronta quotidianamente. La patologa Isobel, una sua vecchia fiamma che ha condiviso con lui momenti difficili che hanno interrotto il loro rapporto, si muove tra i tavoli dell’autopsia mantenendo una distanza emotiva dalle persone decedute che le sottopongono, producendo agli occhi di Logan un contrasto insopportabile tra la crudezza dei suoi atti (dissezionare cadaveri, togliere lo scalpo ad una bambina di quattro anni…) e la freddezza con cui li compie. Anche in questo caso, McBride non ha bisogno di aggiungere nulla alla descrizione dei fatti per renderli potenti nella loro icasticità. Aberdeen è una città come le altre, indifferente, piena di pub dove anche i poliziotti vanno ad ubriacarsi, e come tutti gli altri paesi possiede una propria anima; la sua è fatta essenzialmente di pioggia, incessante e fastidiosa, che d’inverno si trasforma in tempeste di neve.
E’ un lavoro minimale, quello di MacBride, che dà i suoi frutti: non carica il protagonista con una personalità esuberante o eccessivamente evidente, ma riesce comunque a farci appassionare alla sua storia e più si prosegue con la lettura maggiore è l’empatia che proviamo per McRae, fino ad amarlo come si amano i personaggi letterari più riusciti.
La ricerca del serial killer è lunga e difficile, e nel frattempo i protagonisti incontreranno altri crimini, non meno spaventosi. Un affresco, a tratti pietoso, delle miserie umane. Le indagini riveleranno che l’abiezione è più estesa di quanto si poteva pensare: un pozzo nero, un abisso che custodisce sempre nuove atrocità. Nonostante gli arresti e le scoperte della polizia, i bambini continuano a sparire.
Il romanzo d’esordio di Stuart MacBride non è una tragedia, ma il racconto delle tragicità che permeano l’esistenza, e che per forza gravano maggiormente sulle spalle di poliziotti come McRae, costretti a confrontarsi direttamente con gli aspetti più grottescamente violenti del mondo. Ciò è sempre più evidente con lo scorrere delle pagine, fino alla risoluzione finale. Ma, come si conviene alla tragicità moderna, nessuna catarsi aspetta il protagonista, e nemmeno i lettori.
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- MacBride, Stuart (Autore)