Ogni tanto su Thriller Café ci piace fare qualche passo indietro nel tempo, perché accanto alle novità che ogni giorno catturano la nostra attenzione, è bene non dimenticarsi di quei romanzi anche un po’ datati che varrebbe la pena di leggere (o rileggere). Parliamo oggi quindi di Marco Vichi e del suo romanzo d’esordio, quel Il commissario Bordelli che inaugurò ormai quasi dieci anni fa la fortunata saga con cui lo scrittore toscano ha conquistato pubblico e critica nel corso degli anni (vedi premio Scerbanenco, Camaiore e Azzeccagarbugli).
Titolo: Il commissario Bordelli
Autore: Marco Vichi
Editore: Guanda
Anno: 2002
Trama in sintesi:
Firenze, estate 1963. La città è deserta per le vacanze e assediata dal caldo e dalle zanzare. Il commissario Bordelli passa la notte a rigirarsi nelle lenzuola, dopo giornate di banale routine estiva sbrigata da quei pochi rimasti, come il poliziotto Mugnais e il nuovo arrivato, Piras. Quand’ecco che una telefonata gli annuncia una morte misteriosa: una ricca signora viene trovata morta, accanto al letto un bicchiere con le gocce per l’asma e sul comodino il flacone perfettamente chiuso. Ma è difficile pensare a un attacco improvviso della malattia, come spiega l’anatomopatologo. Bordelli indaga sui singolari personaggi che frequentavano la villa della donna, tutti dotati di un alibi di ferro, ma c’è qualcosa che non lo convince.
Ho letto il primo libro della saga del Commissario Bordelli quando uscì nel 2002 edito dalla Guanda e ricordo bene che mi piacque molto quel poliziotto cinquantenne, ex partigiano, scapolo non per vocazione, con la sua sigaretta in bocca e una esistenza disordinata asservita al lavoro e agli ideali di giustizia e libertà. Ricordo bene che mi piacque la sua ambientazione nella Firenze anni 60, in bilico fra la tipica spontanea genuinità del suo essere città semplice e la strisciante contaminazione affaristica del dopoguerra da “prima repubblica” dove inizia la scalata al potere di una classe di governanti che darà i suoi assurdi frutti da pentapartito vent’anni dopo.Ricordo che mi piacque molto quello strano concetto di giustizia del commissario Bordelli, servo della legge, ma che l’applica distinguendo fra gli uomini. Un’umanità, la sua, ricca d’intelligenza, dove un misero ladro che delinque solo per necessità, riesce ad avere la schietta amicizia del commissario, contrariamente ad altri rampanti colleghi d’ufficio che mai l’avranno come il questore Inzipone.Ricordo che mi piacque molto quella cappa d’aria calda, mirabilmente descritta, che avvolgeva la città spogliata dalla maggior parte dei suoi abitanti fuggiti al mare, e quei superstiti boccheggianti nell’afa con le camicie sudate.Ricordo che mi piacque molto lo stile di Vichi così semplice e scorrevole, ma al contempo così cesellato nella costruzione dei pochi personaggi secondari, ognuno destinato a sopravvivere a lungo nella memoria del lettore.
A distanza di nove anni ricordavo tutto questo ad eccezione della trama gialla. Proprio questa è stata la molla che mi ha fatto venire la voglia di rileggerlo, ma non trovandolo più nella mia libreria (sicuro prestito non più restituito) l’ho ricomprato nell’edizione Tea.
Ero molto curioso di riconfrontarmi col mio vecchio giudizio, quindi mi sono tuffato nella lettura e oggi, con estrema franchezza posso dire di non essermi sbagliato.
Nella rilettura del libro il commissario ha mantenuto il suo fascino e forse ancora di più ho gustato la sua completezza umana e l’ottimo tratteggio di tutti i personaggi secondari dell’opera, a partire dal suo aiutante sardo Piras.
Del poliziotto Bordelli mi è ripiaciuto vedere il suo inserimento nel tessuto sociale degli anni sessanta, ma più di ogni altra cosa il suo essere terreno e credibile del tutto diverso dai colleghi americani perfetti, supertecnologici, sempre dal grilletto facile in situazioni “pazzesche”.
Soltanto la trama gialla l’ho trovata un po’ debole, ma la ritengo alquanto attinente al lavoro quotidiano di un commissario di polizia e soprattutto credo che sia stata solo un pretesto per scrivere un bel libro della memoria, ricco di nostalgia e ricordi della guerra partigiana, molti dei quali realmente vissuti dal padre di Vichi durante i suoi combattimenti contro i nazisti, d’altronde il ringraziamento dell’autore al genitore è piuttosto esplicito e si conclude con una bella frase: “Se oggi lui fosse vivo credo che sarebbe contento di vedere che quelle storie vivono in questo romanzo”.
In conclusione il libro d’esordio del commissario Bordelli è un davvero un buon libro ricco di sincera umanità.
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Articolo protocollato da Ivo Tiberio Ginevra
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