Recensisco volentieri “Lo scuorno della giustizia” di Oreste Patrone e per mia onestà intellettuale e per il rispetto di chi legge, premetto:
che io sono amico dello scrittore;
che Oreste Patrone è un collaboratore di Thrillercafè;
che questo è un libro autopubblicato;
e che io non ho alcun pregiudizio per i libri autopubblicati perché se uno scritto è buono, a me non importa altro.
Detto questo, lo recensisco con piacere dato che questo è un buon libro, rifuggendo da ogni polemica e trattandolo solo per quello che è, e ripeto: un buon libro.
Lo scuorno della giustizia di Oreste Patrone è la pubblicazione dei racconti del Commissario Cazzavillani. Lo so. Avete ragione. Cazzavillani non si può dire, suona proprio male, è un’indecenza, poi nome e cognome messi insieme sono un disastro: Evaristo Cazzavillani. Eppure il Cazza, come lo chiamo io affettuosamente, ha un qualcosa che ti piglia subito. Ti affascina, ti graffia, ti centra dritto al cuore creando una sana dipendenza, e per di più ti affezioni sul serio a quest’atipico personaggio, perché il Cazza è unico ed è tutti noi, così come alle volte, o almeno una volta sola nella nostra vita vorremmo essere.
Il personaggio nasce sul blog di Oreste Patrone, dove l’autore per diversi mesi ha postato quasi ogni giorno i racconti del commissario Cazzavillani (ecco spiegato il motivo della dipendenza). Diciamo pure, che per mesi e stato come una striscia giornaliera che io personalmente ho atteso con piacere, perché già dal terzo racconto avevo bisogno della dose di buon humour nero quotidiano di questo strambo commissario dell’immaginario comune di Teresina a Mare, in provincia di Caserta, definito dal suo stesso Questore come “la vergogna del corpo della polizia”. E il Cazza non solo è strambo, perché irritabile senza ragione, o svogliato fino all’inverosimile, o peggio ancora: opportunista. Il Cazzavillani è unico, perché è del tutto sprezzante. La sua completa visione dell’esistenza giornaliera è sprezzante, cinica e sfrontata. Rasenta di continuo la demenzialità, o l’imbecillità più assoluta facendo anche il verso ai più blasonati commissari della letteratura, ma sia chiara sempre una cosa: Cazzavillani non è uno stupido! Sa sempre bene quello che fa.
I racconti, o meglio, gli episodi di vita contenuti ne Lo scuorno della giustizia, sono 24. Sono brevi. Vanno dalle 3 alle 8 pagine e sono scritti in un confidenziale stile parlato, quotidiano e sintetico. E tutti, dico Tutti, riescono sempre a strapparti un sorriso o anche una risata. Demenziale, o ironica, profonda o spiazzante. Una risata a volte inopportuna, ma del tutto coerente con il personaggio, e il suo creatore è bravo nel saperla amministrare, perché non la cerca sempre e in ogni caso. E anche se qualunque racconto termina con ilarità, o con una smorfia di forte sarcasmo, resta sempre in chi legge la disarmante ragionevolezza, che tutto questo ci sta sempre bene, perché è giusto così, nella sua episodicità spontanea e logica.
Il Cazzavillani è un quarto d’ora d’intelligente divertimento pieno d’ironia, con battute e riflessioni rapide e azzeccate che fanno inghiottire la pillola amara delle tante storture della moderna quotidianità con un sorriso. Un semplice sorriso che si trasforma in appuntamento col buonumore.
Dire che lo consiglio è poco. Amatelo!
Bones
Quando non è impegnato a dare la caccia ai malviventi, Cazzavillani trascorre le sue serate a casa, per lo più a guardare la televisione. È un grande patito delle serie americane. Una che gli piace assai è Bones.
Temperance “Bones” Brennan, è una brillante antropologa forense specializzata nell’analisi dei resti umani.
Il commissario Cazzavillani, ogni volta che la vede in televisione, fa dei pensieri che con la morte non c’hanno niente a che vedere. Diciamo che ci farebbe sesso sfrenato sopra il tavolo di acciaio inox della sala autoptica con tutti gli scheletri attorno ad applaudire la sua prestazione.
Oltre ad essere sexy, la dottoressa Brennan ci sa fare coi morti: guarda un teschio per un paio di secondi, magari uno vecchio di trent’anni, e ti dice sesso, età, causa della morte e programma televisivo preferito.
È forte, la dottoressa Brennan. Al commissario Cazzavillani ci piace assai.
Poi c’è la sua collega, Angela, che mette tutto dentro un computer e fa il manichino tridimensionale del cadavere morto com’era da vivo, tale e quale. Talmente preciso che ci potrebbero fare la foto per la patente. Se fosse vivo, chiaro.
Pure lei è niente male. Pure con lei il commissario ci farebbe un po’ di pratica. Un bel po’, per dire la verità.
A quel punto, un pensiero più indecente s’insinua nella mente del commissario: Angela e Temperance… insieme!
No, non è il caso. L’unica speranza di finire nelle mani delle due antropologhe del Jeffersonian Institute è da morto e Cazzavillani non ci tiene, così si da un’energica grattata all’apparato forense e spegne la televisione. E statt’ bones.
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