John Banville (1945) è uno scrittore irlandese e nello spirito, nei luoghi, nelle contraddizioni del suo Paese sono calati i suoi romanzi, dei thriller sapientemente costruiti che riescono anche a penetrare a fondo la desolazione e il dolore delle tragiche vicende umane che narrano. Questo romanzo si apre con un flash back ambientato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale in Alto Adige. Un uomo emaciato e inquieto, con indosso un vecchio e malconcio loden, che si trascina dietro un logoro zaino, bussa alla porta di un convento sulle dolomiti. L’uomo è visibilmente un fuggiasco, di sicuro avrà attraversato da clandestino la frontiera del Brennero. Ma i frati non fanno domande. Loro dovere è l’accoglienza. Poi l’uomo è solo in transito, deve proseguire il suo viaggio, la sua meta è l’Irlanda.
A questo punto interviene un salto temporale, che ci porta a Dublino, sul finire degli anni ’50. Qui facciamo conoscenza con l’ispettore John Strafford (già protagonista di altri due romanzi di Benville), in forza alla Garda, questo è il nome della polizia irlandese, per esteso Garda Siochana na h Eireann, traducibile in Gaurdia della pace dell’Irlanda. Strafford è un poliziotto solido, scrupoloso, intuitivo, dunque molto apprezzato da superiori e colleghi, ma nell’ambiente in cui vive – non solo quello professionale – è costretto a confrontarsi continuamente con un grave gap: lui è protestante, in un Paese cattolico che ha dovuto a lungo lottare per affrancarsi dalla dominazione della protestante Inghilterra. Ogni irlandese quindi continua a vedere con sospetto, se non avversione, chi aderisce alla religione degli ex occupanti e dominatori. Strafford, che pure irlandese è nel profondo, la diffidenza continua a sentirla e a misurarla ad ogni passo. Tuttavia questo lo spinge a fare con ancor maggiore impegno il proprio lavoro, perché a lui nessun errore o passo falso sarà mai perdonato.
Quando il meccanico Peregrine Otway chiama la polizia perché ha scoperto nel suo garage il cadavere di una donna chiuso all’interno di un auto, Strafford subito accorso si fa subito le sue idee sull’accaduto. Tutto fa pensare che la donna si sia suicidata accendendo il motore e respirando i gas di scarico dell’auto. Ma la vittima Rosa Jacobs, giovane e brillante docente di storia dell’ebraismo nel prestigioso Trinity College ed ebrea ella stessa, almeno apparentemente, non aveva alcun motivo per togliersi la vita. La tragedia dell’olocausto ebraico è ancora recente, fresca nella memoria, con i suoi strascichi ancora aperti: sospetti, colpe celate, rancori. L’autopsia condotta dal dottor Quirke conferma i dubbi dell’ispettore: Rosa Jacobs è stata uccisa.
Strafford dunque indaga. Non sarà facile, anche la collaborazione con Quirke è problematica, perché il medico ritiene in qualche modo Strafford responsabile della morte della propria moglie, avvenuta anni prima nell’ambito di un’oscura vicenda in Spagna. Ma l’aiuto di Quirke si rivelerà indispensabile. Il poliziotto e l’anatomopatologo dovranno collaborare. Sia pure con grande difficoltà ci riusciranno. A metterli sulla pista giusta sarà l’analisi attenta della personalità e della vita della vittima, non solo impegnata nello studio della Shoah ma anche molto attiva sul piano politico nell’affermare e difendere le ragioni del suo Popolo e i diritti civili in generale. Com’era prevedibile, la soluzione del mistero di questo delitto si scoprirà legata a quell’antefatto, lontano nel tempo ben 12 anni, con cui il romanzo si è aperto, e alle pagine più dolorose e turpi della recente storia d’Europa.
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