I primi tre romanzi dell’autore piemontese Carlo De Filippis (“Le molliche del commissario” – Giunti, 2015; “Il paradosso di Napoleone” – Mondadori, 2017; e “Uccidete il Camaleonte” – Mondadori, 2018) erano dei gialli/noir/polizieschi aventi come protagonista il commissario siciliano (trasferito a Torino) Totò Vivacqua. Da qualche giorno è uscito il quarto romanzo dell’autore, intitolato “Il dono” (DeA Planeta, 2019), che segna invece l’avvento del commissario torinese Zaccaria Argenti.
Il nostro funzionario di polizia viene ferito in servizio, batte la testa e cade in coma. Quando si risveglia i suoi ricordi non sono lucidi, e su di lui si concentrano sospetti e interrogativi inquietanti. Viene così rimosso dal servizio attivo e posto sotto la stretta sorveglianza dell’ispettrice Maya Bolla, con la quale finirà per fare coppia. Il commissario non è capace di tenersi lontano dall’azione, così – nonostante le restrizioni – si mette a indagare su una serie di omicidi avvenuti in città.
In parallelo a questa storia ne corrono altre due, come sub-plot che si alternano e s’intrecciano di continuo durante la narrazione. Una vicenda ha come protagonista Petra Mareska, una donna rumena che si arrabatta tra il lavoro in clinica come infermiera e il dopolavoro extra sotto forma di servizietti erotici. Petra è scaltra ed una un fidanzato sfrontato con il quale concepisce propositi azzardati, che non promettono nulla di buono. L’altra vicenda è invece quella di Colette, una donna tradita dal marito che passa le sue notti in preda a cruenti incubi, che presto scoprirà essere premonitori. Il suo stesso “dono” (da cui il titolo del romanzo) lo possiede suo cugino Eduardo, il quale non vuol più essere mero spettatore dei suoi sogni, bensì desidera che le vittime delle sue premonizioni abbiano giustizia: vuole vendetta. Ma – ed è questo l’interrogativo che echeggia, sotteso in tutto il romanzo – dove finisce la vendetta e incomincia la giustizia? Dove, di preciso, si trova questo labile confine? E qual è il filo che lega queste tre storie tra di loro?
Le tre linee narrative, o story-line, di questo intrigante noir sono tutte dotate di venature ironiche e psicologiche, che si ricomporranno poco alla volta, fino a risolvere una trama complessa nell’imprevedibile incastro finale.
Forse non convince del tutto la commistione tra il plot poliziesco (e quindi deduttivo) di cui è protagonista Argenti, con quello più esistenzialista, cinico e prosaico di Petra, e ancora meno l’intreccio con quello esoterico e onirico (quindi irrazionale) di Colette e di suo cugino Eduardo. Da questi continui incroci ne esce infatti un amalgama spurio, leggermente spiazzante, che rischia di confondere il lettore, soprattutto il purista di genere.
Mescolare tre personaggi protagonisti e tre sotto-storie in un’unica soluzione è del resto compito complesso e ambizioso, per alchimisti audaci e geniali, nel quale ci sembra che l’autore si sia districato con qualche fatica, superata grazie a una scrittura molto incisiva ed esuberante, efficace e spigliata, a tratti irriverente, capace di prendere per mano il lettore e condurlo dove vuole, abbandonarlo e riprenderlo, sconquassarlo o carezzarlo come meglio crede.
Il testo è vivo e dinamico, e le oltre quattrocento pagine risultano necessarie (almeno al lettore bendisposto) per ungere una trama complessa che altrimenti rischierebbe di incepparsi, di non delineare in modo adeguato i personaggi, di apparire meccanica o di restare involuta. In una Torino cupa e nerissima, angosciante ma a suo modo idilliaca, si muovono invece personaggi credibili che funzionano bene nelle loro caratterizzazioni e i cui dialoghi risultano sempre realistici.
Certo ormai la narrativa di genere è gremita di commissari di polizia capaci di conquistarsi i loro spazi sugli scaffali delle librerie nostrane.
Zaccaria Argenti sarà uno di questi? Difficile dirlo, ma di certo possiede i requisiti per tentare.
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