Lo scorso 27 febbraio è uscito per Guanda l’ultimo romanzo dello scrittore e giornalista campano Bruno Arpaia, noto anche per essere un apprezzato traduttore e curatore di testi di importanti autori di letteratura ispano-americana, come Carlos Ruiz Zafón, Gabriel Garcia Marquez, Carlos Fuentes, Fernando Aramburu, Guillermo Arriaga. Del pluripremiato Arpaia corre l’obbligo di ricordare la vincita del premio Bagutta con il suo romanzo d’esordio (“I forestieri”, del 1991), quella del premio Campiello 2001 con “Tempo Perso”, quella del Premio Procida Isola di Arturo – Elsa Morante nel 2003 per un saggio col famoso scrittore cileno Luis Sepúlveda (di recente tornato agli onori della cronaca per essere stato colpito dal Coronavirus), nonché quelle del premio Napoli e del premio Comisso nel 2006, con “Il passato davanti a noi”.
Il romanzo che recensiamo oggi non è di facile catalogazione, collocandosi in una zona grigia tra lo spionistico, il thriller, l’ambientazione storica e il giallo. Non è neppure un romanzo stricto sensu, ma piuttosto un metaromanzo di inchiesta, che assume a tratti l’aria di un saggio. Si intitola “Il fantasma dei fatti”, titolo molto efficace che (come vedremo) ha il sapore di un omaggio a Leonardo Sciascia.
Scopriamone insieme il plot.
È il 3 Settembre del 1978 quando Tom detto il Greco riceve nella sua casa in Québec una visita inaspettata. Si tratta di due agenti della cia, inviati dalla sede centrale di Washington. Il capo si chiama George e con lui c’è un giovane collega. Cosa vogliono? Semplice: devono sapere cosa dirà Tom il Greco – di lì a poco – alla Commissione della Camera dei Rappresentanti che sta indagando ancora sugli omicidi di John Kennedy e Martin Luther King. Già, perché Tom il Greco è nientemeno che Thomas Hercules Karamessines (personaggio tutt’altro che di fantasia), newyorkese di origini greche, arruolato nei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale. C’è il suo zampino in molte questioni delicate della storia americana del dopoguerra, dalla guerra in Vietnam al colpo di Stato del ‘73 in Cile, perfino nella cattura di Che Guevara.
Cosa c’entra l’Italia, con questa storia? Molto, perché tra l’ottobre del 1961 e i primi mesi del 1964 il Greco è a capo della stazione cia di Roma e proprio allora in Italia si verificano quattro avvenimenti molto particolari, che finiscono per ridimensionare non poco il ruolo politico del belpaese. Il primo avvenimento si verifica la mattina del 9 novembre 1961. È un misterioso incidente d’auto sul cavalcavia dell’autostrada Milano-Torino che costa la vita all’ingegnere di origine cinese Mario Tchou, il quale sta sviluppando un prodigioso progetto della Olivetti per costruire un calcolatore elettronico tutto italiano. La sua morte decreta di fatto la fine del progetto. Non si è mai sopito il sospetto che dietro ci fosse lo zampino dei servizi segreti statunitensi per favorire l’americana ibm. Il secondo avvenimento ha luogo la sera del 27 ottobre 1962: l’aereo su cui è in volo Enrico Mattei (politico, imprenditore e dirigente dell’eni) precipita in provincia di Pavia, ponendo così fine all’ipotesi di autonomia energetica italiana. Ancora oggi si sospetta un sabotaggio politico, dovuto all’influenza di Mattei contro il cartello petrolifero americano delle “Sette Sorelle”.
Il terzo e il quarto avvenimento sono le inchieste (tra il ’62 e il ’63) contro Domenico Marotta e Felice Ippolito, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità il primo (in un periodo in cui la sanità italiana è un’avanguardia planetaria che attira cervelli), amministratore del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari il secondo (nonché promotore dell’Enel, che da poco ha spezzato il monopolio della produzione di energia elettrica del gruppo industriale americano Edison). Entrambi vengono indagati in seguito a indiscrezioni pilotate o cavalcate da certi poteri, ed entrambi vengono condannati e carcerati a pene più che esemplari. In molti ritengono ancora oggi che le vicende giudiziarie fossero una farsa per stroncare delle eccellenze nostrane e favorire potenti filiere estere.
Insomma quattro eventi eccezionali e ravvicinati, a margine dei quali la ricerca in Italia sembra avere un tracollo e il nostro Paese sembra perdere qualsiasi preminenza in quattro campi di grande rilevanza come l’elettronico, l’energetico, il biotecnologico e l’informatico.
“Quattro storie, guarda caso concentrate in un brevissimo arco di tempo, e, guarda caso, tutte e quattro finiscono male: per i loro protagonisti e per l’Italia… Niente più predominio nell’elettronica, nel nucleare e nelle biotecnologie, niente più ricerca dell’autonomia energetica e politica”.
Certo, si potrebbe dubitare che sia bastato questo per impaludare un’Italia che si sarebbe poi contraddistinta per sviluppare soprattutto conflitti interni e interessi di parte, che non ha forse mai pensato sé stessa come un unico grande Paese. Sta di fatto che quegli anni segnarono la fine del boom e l’inizio del declino, e che a beneficiarne furono in primo luogo gli Stati Uniti.
Ma si è davvero trattato di quattro episodi slegati? Una semplice coincidenza? Oppure è lecito ipotizzare una qualche cospirazione internazionale? E se dietro questo punto di svolta drammatico per il nostro Paese si celasse la longa manus della Cia e di Tom il Greco, cioè di Karamessines?
Ecco che l’inchiesta storica e l’immaginazione del giallista si mescolano per dar vita a un appassionante romanzo che si snoda lungo due binari paralleli, dominati da narratori differenti (entrambi in prima persona), ma su due differenti piani temporali: da una parte il passato, l’agente della cia, che ricostruisce i casi storici della geopolitica internazionale dal punto di vista dei servizi statunitensi; dall’altra il presente e l’autore stesso, cioè la meta-narrazione in cui Arpaia mette a nudo sé stesso, le sue fonti e il proprio metodo di lavoro, le sue estenuanti ricerche svolte con l’aiuto e il supporto dell’amico saggista e divulgatore scientifico Pietro Greco e anche con “il più bravo, il più meticoloso, ostinato e colto giornalista cha abbia mai conosciuto”, vale a dire Peppe D’Avanzo.
Dicevamo che il titolo sembra suggerire un omaggio a Sciascia. In effetti ci pare di ravvederlo non solo nella citazione di una frase estrapolata dal suo memorabile romanzo sulla scomparsa dello scienziato Ettore Majorana, quanto nell’innesco tipico del genere non-fiction – al quale Arpaia fa molto ricorso in questo romanzo – di ipotesi congetturali (perciò con una intrinseca componente fantastica e immaginaria) inserite dentro ricostruzioni storiche e fattuali, poi utilizzate per inseguire delle verità sfuggenti e ambigue. Insomma facendo emergere quelli che il letterato siciliano chiamerebbe i “fantasmi dei fatti”, dove le zone oscure dei fatti sono illuminate dall’immaginazione.
Da questo punto di vista è significativa la nota che conclude l’opera, la quale ci informa che «molti altri eventi raccontati nel romanzo sono frutto di invenzioni. Forse».
Forse.
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.