Cari aficionados, habituè o anche solo avventori di passaggio, oggi vi condurrò nei meandri degli studi legali, nel labirinto dei cavilli giudiziari, nel dedalo delle aule di tribunale, nel rigore della dura lex sed lex. Tutto ciò grazie a Il figliol prodigo, eccellente legal thriller scritto a quattro mani da Alessandro Perissinotto, scrittore, traduttore e docente universitario, e Piero D’Ettorre, avvocato penalista di lungo corso.
Dopo oltre due anni di buio totale e assoluto silenzio, a Torino riappare Marco Sarriano, un ragazzo napoletano di cui si erano perse le tracce durante una sua vacanza in solitaria in giro per l’Europa. Il ritorno, però, non avviene nella forma salvifica raccontata dalla celebre parabola evangelica, bensì all’opposto e nel peggiore dei modi, ovvero sul luogo di un delitto, dove evidenze pressoché schiaccianti sembrano inchiodare Marco come unico responsabile della morte di un noto, e controverso, imprenditore di startup.
In un’atmosfera contrastante, in cui la gioia della ricomparsa si scontra con lo sgomento per le circostanze tutt’altro che liete, l’avvocato Giacomo Meroni, attraverso un’amicizia in comune, accetterà l’incarico di difendere l’imputato. Quello che si troverà di fronte sarà un caso all’apparenza già sancito, la cui ricostruzione dei fatti non pare ammettere alternative, se non una curiosa variante del cosiddetto “enigma della camera chiusa” molto noto ai giallisti. A peggiorare la situazione ci sarà l’impenetrabile mutismo del ragazzo, che non farà altro che suffragarne la colpevolezza.
Addentrandosi con pazienza e perseveranza nel trascorso di Marco, conoscendolo più in profondità e cogliendo alcuni piccoli ma determinanti dettagli, grazie anche all’aiuto della moglie Rossana costretta in carrozzina a causa di un incidente ancora irrisolto, nella testa dell’avvocato Meroni inizierà a prenderà forma un’altra idea sulla dinamica degli eventi passati, prodromi dell’atto omicida, e a dare una fisionomia della realtà “percepita” dei fatti. Quella da inculcare nelle coscienze dei giurati per ottenere un verdetto favorevole. E progressivamente Meroni cambierà anche l’opinione sulla persona che è chiamato a difendere.
La maestria di Perissinotto, che non scopriamo di certo oggi, nel descrivere con estrema abilità la suspense dell’indagine inquisitoria e, con la dovuta sensibilità, nel tratteggiare la leggerezza (che come diceva Italo Calvino non è affatto superficialità) dei momenti personali dei protagonisti al di fuori dell’aula di tribunale, si amalgama alla perfezione con l’esposizione delle procedure giudiziarie. Il tutto in una Torino che forse non siamo così adusi a conoscere.
Sono davvero tante le citazioni che potrei riportare per rendere l’idea dell’ottima narrazione, una più bella e congeniale dell’altra, brevi perle di saggezza, piccoli oblò che si affacciano su una coinvolgente storia dai risvolti inaspettati.
Ne scelgo una, quella che in special modo mi ha colpito e che non posso non menzionare. Parafrasando una metafora, l’avvocato Meroni riflette sull’andamento di certe indagini particolarmente macchinose:
A Giacomo piaceva paragonare i casi più complessi a un ruscelletto alpino che nasceva placido da una fontana, poi si faceva irruente lungo il pendio o addirittura precipitava in cascata saltando da una balza rocciosa, per poi prendere un corso più regolare e allargarsi in un lago tranquillo. E magari uscendo dal lago, ricominciare dopo pochi metri a scorrere rapido per poi rallentare. Nei casi giudiziari intricati era lo stesso. All’inizio le cose si muovevano a stento e l’abusata formula “brancolare nel buio” era quanto mai calzante. Poi brusche accelerazioni, curve improvvise, precipitosi inseguimenti del vero seguiti da calma piatta. La definirei un’allegoria della vita. Se non è un amalgama perfetto questo…
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