Ultimo episodio delle avventure dell’avvocato Andrea Stili, scapigliato sportivo personaggio togato, nato dalla penna (e dall’esperienza professionale) di Fabrizio Bini, un collega varesotto che- in quanto tale (collega, non necessariamente varesotto) ci imbastisce trame gustose senza la minima sbavatura in termini di procedura, cosa che- per tutti noi amanti della detection di cui conosciamo bene nomenclatura e tempistiche- ci dà tanta soddisfazione.
Stavolta l’amico Andrea (che Bini, ospite recente a Risolto Giallo, ha confessato conoscere personalmente in quanto ispiratosi ad un avvocato di Varese davvero operativo) si ritrova coinvolto in un caso di omicidio non per incarico professionale, non come legale nominato per difendere un indagato o i famigliari della parte lesa, ma per caso, durante una passeggiata in bicicletta una domenica freddolina e sonnacchiosa… ma quante sferzate emozionali ne nasceranno!
Il cadavere è di un uomo interessante, coltissimo, un self-made man sostanzialmente votato alla delinquenza (ma di quella intelligente, ossia del gruppo dei truffatori) ma libero, soprattutto intellettualmente. Lascia una figliola altrettanto affascinante, alle cui grazie lo Stili non rimarrà indifferente, anzi, ne resterà così catturato (i suoi occhi lo penetrano sino al centro dell’anima, dirà) da scomparire dai suoi ambienti famigliari, dal Tribunale al bar, costringendo gli amici Geremia e Matteo a cercarlo.
Per il resto non svelo nulla ma rinvio con vivo piacere alle pagine che parlano di noi, degli avvocati penalisti, che in Fabrizio si ritrovano anche nei romanzi precedenti, come Matematica di un delitto del 2018 – ove però forse prevaleva il Bini già appartenente al mondo militare, delle scuole come la Nunziatella – ma che nel Filosofo hanno più spazio e rivendicano un ruolo che la società forse ora sta fraintendendo.
Sono pagine scritte da insider, e forse godibili soprattutto da noi colleghi, ma racchiudono e offrono le chiavi di interpretazione del nostro lavoro che, nella letteratura gialla, ancora non erano state svelate così bene. Splendida la descrizione, per esempio, della differenza tra avvocato che si arricchisce e quello che ci crede davvero, piuttosto che tra civilista- il cultore delle norme- e penalista, che deve avere qualcosa in più, non apprendibile, non insegnabile: “sentire” chi ha di fronte, dal cliente al Pm sino all’avversario e al giudice, capire quando affondare la spada e quando lasciar perdere. E manifestare tutto questo con delicatezza.
Con questo non consiglio i romanzi di Bini solo ai colleghi, anzi, tutto il contrario. Come vado suggerendo da anni di leggere libri scritti da italiani, così voglio cominciare a dire chiaramente anche quali sono apprezzabili perché, oltre che avvincenti e ben formulati, risultano corretti sotto il profilo tecnico.
Chi si avventurerebbe a scrivere di scacchi, o di ricette giapponesi, o di musica classica, senza averne almeno una infarinatura? Be’, fateci caso, i gialli ormai sono appannaggio di tutti. Chiunque pensa di poter scrivere di una indagine. E così ci ritroviamo personaggi che non ti fanno entrare in caso se non hai un “mandato”… e in Italia, di mandati, ce ne sono tanti, ma a quel paese… Leggete tanto, leggete italiano, ma leggete giusto.
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