Lo scorso 3 novembre Einaudi ha pubblicato, con traduzione di Eva Kampmann, Il fratello, l’ultimo romanzo di uno scrittore che non ha assolutamente bisogno di presentazioni: il norvegese Jo Nesbo.
In questa sua ultima pubblicazione Nesbo affronta un tema di certo non originale, ma che dà sempre spunti interessanti su cui riflettere, specie se trattato da un professionista: la famiglia e la tenuta di certi legami che vanno oltre il sangue e che, se sottoposti a prove molto forti, possono fortificarsi al punto da diventare un vero enigma, tanto indissolubili quanto insondabili. E viene normale, a noi che ci ritroviamo immersi fino al collo in queste pagine intricate, porci domande a cui forse non c’è risposta: qual è il limite? Cosa spinge un fratello ad aiutare l’altro fratello sempre e comunque, senza esitazioni, rischiando il tutto per tutto ancora e ancora? Sangue? Amore? Senso di colpa? Fino a dove ci si può spingere per proteggere chi si ama?
«Siamo una famiglia. E dobbiamo restare uniti perché non abbiamo nessun altro. Amici, fidanzate, vicini, compaesani, lo Stato. Non sono che un’illusione e non valgono un cazzo il giorno in cui ti ritrovi veramente nel bisogno. Allora saremo noi contro loro, Roy. Noi contro tutti quanti gli altri.».
Roy gestisce una piccola stazione di servizio in franchising nel paesino dov’è nato ed ha vissuto, un posto sperduto, isolato, sulle fredde montagne a Nord della Norvegia. Dopo quindici anni lontano da casa, passati a cercare di diventare qualcuno in America, suo fratello minore Carl torna a casa insieme alla moglie, Shannon, originaria delle Barbaados. Carl è tornato col suo sorriso smagliante e la sua bellezza spavalda che tanto lo avevano reso popolare ai tempi dell’adolescenza, e con un’idea tanto strampalata quanto grandiosa: costruire un albergo ad alta quota i cui soci sarebbero stati proprio i paesani. Un progetto ambizioso e costoso che avrebbe però dato lustro e guadagno al paese. Nessuno perde, vincono tutti. Ma insieme a Carl torna anche il passato, quel passato fatto di pianti soffocati nel cuscino, risse, pugni e quell’incidente, quello in cui la Cadillac di famiglia precipitò nel dirupo vicino a casa con dentro il padre e la madre di Roy e Carl. Quel passato fatto di segreti, non detti, troppi casi freddi e ricordi sgradevoli che Roy non ha mai dimenticato e che in queste pagine si ritroverà a ripercorrere più volte, suo malgrado, nei pensieri e nei gesti, sempre per difendere suo fratello, il suo amato, odiato fratello. Un passato che noi scopriamo piano piano, passo dopo passo, tassello dopo tassello, a comporre una storia torbida, complicata, dura da digerire. Una storia di abusi, legami morbosi, sesso e senso di colpa.
Non c’è vera investigazione qui, non c’è l’adrenalina di scoprire un colpevole: la storia ci viene interamente raccontata da Roy che dentro di sé ne conosce già l’epilogo. Ciò che spinge noi a continuare a leggere è piuttosto la curiosità, quella scintilla morbosa che ci induce a volerne sapere di più su una vecchia storia poco chiara, che poi si tramuta in sgomento e finisce per diventare incredulità. Sì, perché se c’è un solo, unico difetto in questo libro non è la lentezza, non è la tensione tenuta sempre ben al di sotto del limite di guardia… ma è che, da un certo momento in poi, la storia non è più credibile, semplicemente diventa troppo anche per un’opera di fantasia. Si ha come la sensazione che, nella smania di voler far passare il suo messaggio, Nesbo abbia voluto strafare e il filo di lana su cui poggia il realismo della trama si sia teso al limite, rischiando di farla sprofondare nel grottesco. Detto questo, il messaggio passa, la storia fa breccia, i personaggi e le ambientazioni sono molto ben caratterizzati, nonostante le 648 pagine il libro si legge molto piacevolmente e, sebbene non sia, come detto, un thriller adrenalinico, regala colpi di scena e fa venire sempre più voglia di far girare le pagine. In definitiva, un thriller discreto che, se non ci si sofferma troppo su quanto la trama sia inverosimile, è cupo e introspettivo al punto giusto.
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