L’editore Salani ha recentemente pubblicato “Il gioco dell’anima” (traduzione di Elena Rolla), ultimo romanzo dello scrittore spagnolo Javier Castillo, che idealmente prosegue le vicende del suo precedente “La ragazza di neve”, anch’esso uscito per lo stesso editore. Come in quel caso, la storia è ambientata a New York e tutto ruota intorno alla giornalista Miren Triggs, che si prodiga per ritrovare le persone scomparse. Se però nel caso precedente al centro della vicenda vi era la sparizione di una bambina, in questo caso la narrazione comincia con il ritrovamento del cadavere di un’adolescente, anch’essa scomparsa da pochi giorni. Ben presto però, dall’indagine che segue la scoperta emergerà un intreccio molto complesso, fatto di trame, adolescenti inquieti, sette segrete e misteriose congregazioni religiose.
La New York che fa da sfondo al romanzo non è quella dei grattacieli scintillanti di Manhattan, della finanza o dell’aristocrazia culturale, ma quella marginale delle aree povere del Queens, dei “non luoghi” che un tempo avevano una loro funzione sociale e che oggi conservano soltanto gli scheletri degli edifici, delle case improvvisate o delle roulotte degli ex hippie che hanno abbandonato la presunta civiltà per starne ai margini e vivere dei suoi rifiuti. Luoghi di isolamento che non hanno nessuna speranza di gentrificazione. Questo è il primo aspetto di scenario che colpisce nei romanzi di Castillo: la dissacrazione dei luoghi sacri. La scelta di New York non è infatti determinata dal considerare questa città il centro del mondo, ma piuttosto dalla volontà di andare a capire quale e quante siano le ombre che si annidano anche molto vicino a dove splendono le mille luci della grande mela.
Il romanzo ha una struttura narrativa ottimamente costruita, con una serie di percorsi diversi che inquadrano i diversi protagonisti e che confluiscono in un finale originale. Castillo alterna un narratore impersonale alla visione soggettiva di Miren Triggs, perché vuole evitare al lettore un’eccessiva identificazione con la protagonista, creando in tal modo una sorta di effetto “straniante” che aumenta la suspense. Tutto pare quindi ben costruito per accrescere la componente thriller, anche in presenza di un soggetto come la sparizione o il rapimento di bambini e adolescenti che non è sicuramente un tema poco trattato.
Castillo ha a cuore chi rimane isolato dal mainstream della nostra società. Sono coloro che sono stati scartati dai nostri processi di produzione e di costruzione sociale che lo affascinano. Coloro che non si adattano e non si incasellano e che spesso soffrono di questa loro natura. Non riescono a fare i giornalisti perché non accettano che si debba parlare solo di ciò che è trendy, se fanno i professori universitari non subordinano la ricerca della verità agli interessi dei finanziatori dell’Accademia, come poliziotti tendono a non accettare i diktat dei loro superiori (ho scelto i tre protagonisti principali del romanzo: Miren Triggs, Jim Schmoer e Ben Miller). Sono vittime di una società che ha ingigantito i processi di massificazione e aumentato la velocità frenetica alla quale consuma non solo le risorse materiali, ma anche le persone. Attenzione però, perché sono proprio loro che potrebbero salvarci in virtù della loro indomabile passione e della capacità di gettare il cuore oltre ogni ostacolo. Molto più di quanto non possano fare le persone “normali”, che spesso sotto la patina di apparente tranquillità sono molto più spietate e pericolose degli “irregolari”.
Un messaggio ambivalente quindi quello de “Il gioco dell’anima”. Castillo si mostra tanto scettico e disilluso per quanto riguarda le sorti di un’umanità che corre senza meta verso la propria (inconsapevole) autodistruzione, quanto speranzoso e ottimista perché dentro ognuno di noi c’è sempre una scintilla pronta a illuminarci. Saranno proprio questi antieroi fragili a salvarci dal male?
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Articolo protocollato da Giuliano Muzio
Libri della serie "Miren Triggs"
Il gioco dell’anima – Javier Castillo
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