“I lividi hanno una memoria tutta loro, pensò Portanova”
Da Siracusa si affaccia sul panorama giallistico italiano il commissario di PS Paolo Portanova. Il suo Demiurgo è Alberto Minnella, classe ’85, siciliano di Agrigento e giovane, anzi, straordinariamente giovane per aver scritto un romanzo così ricco di personalità da lasciare meravigliato il lettore sia per la padronanza del linguaggio, sia per l’originale costruzione stilistica della storia, sia per la profonda caratterizzazione del personaggio di Paolo Portanova e del luogo dove è ambientato il romanzo: Siracusa.
La città Aretusea, insieme al commissario Portanova è la coprotagonista di questa breve opera narrativa. Indubbiamente amata alla follia dal Minnella è sempre partecipe in ogni momento dell’azione, a volte come una bella donna matura, o ricca, ora piena di fascino o selvaggia, malinconica compagna sempre dotata di una personalità meditabonda dalle mille sfaccettature ereditate in millenni di storia e tutte riflesse su Paolo Portanova, siciliano da sempre, nel midollo, nel capello, nel pensiero, nell’anima. In tutto.
L’inizio del romanzo è lento. È dovutamente lento, perché solo in questo modo Siracusa e il suo commissario possono entrare nel corpo del lettore e incuriosire al prosieguo di una storia senza cadavere, ma con un mare di sangue, in una notte piovosa di capodanno, in un susseguirsi di facce allegre, facce assassine, facce innamorate e belle. Brutte facce e doppie facce. Facce invisibili che sparano. Che ammazzano.
Una vita ricca di routine quella di Portanova. Abitudini coprenti atte a scandire i ritmi di una esistenza monotona, nei rapporti, nei sentimenti, nel mangiare, nelle pietre. Nel tempo. Routine consumata oramai solennemente con il sigaro nella mano destra, o nell’attesa della nuova pietanza del giorno, ma tutto sempre in un pugno. Nei pugni serrati dentro le tasche. Impotenza e routine anche questa. Malinconia di gesti in fugaci pensieri armonici con il luogo e con il tempo. Tempo variabile, tempo cattivo. Cattivo tempo, come cattiva è questa storia. Intrisa di pioggia e sangue. Di pensieri e azioni che vengono giù come l’acqua di un temporale pronta a lavare via tutto. Ma è pioggia amara che ingoia ogni cosa. Gesti e pensieri. Abitudini e speranze. Sangue. Finché l’azione giunge all’apice di una storia intricata e nera. Oppressa dal cielo nero, carico e denso. Una cappa che incombe e scoppia in acqua di sangue. Sangue improvviso che sveglia, sgorga, pulsa. Travolge e stravolge, uomini e cose, fino a quando ogni cosa, ogni pietra non verrà lestamente rimessa a posto su una colonna traballante, ma che darà significato a tutto, al suo inizio lento, al suo flash-forward, alla stessa citazione del Levitano di Hobbes “Auctoritas non veritas facit legem” (l’autorità non la verità, fa la legge). Inspiegabile all’inizio, ma che alla fine è il grande senso di questo romanzo.
Il gioco delle sette pietre di Alberto Minnella è una lettura che mi sento di consigliare a tutti.
I miei complimenti a Alberto Minnella e alla Frilli Editori che inizia a scendere verso il Sud.
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