“Il cuoco d’oro” è la più prestigiosa manifestazione dedicato al mondo dell’alta cucina svedese: tutti coloro che hanno o ambiscono ad avere un ruolo nella ristretta cerchia delle persone che contano in ambito gastronomico partecipano alla serata, e in particolare l’attenzione e i gossip sono su Florian Leblanc o su Jon Ragnarsson – due chef stellati un tempo soci, ora rivali, che si contendono il prestigioso riconoscimento. A pochi minuti dalla proclamazione del vincitore – come nei più classici gialli alla Agatha Christie – improvvisamente la sala cade nel buio ed esplode un colpo di pistola: al riaccendersi delle luci viene scoperto il corpo di Vanja Stridh, influente e temuta giornalista e critico gastronomico.

Da qui parte l’inchiesta della giornalista Solveig Berg, già protagonista del precedente “Stockolm confidential”, che di Vanja Stridh era amica e collaboratrice: inizia così una storia che si svolge tra i retroscena delle grandi cucine, interessi non sempre leciti,storie e vicende personali della protagonista e personaggi del precedente romanzo che tornano in scena.

Il gusto di uccidere può essere una lettura piacevole se si è alla ricerca di un romanzo mainstream dallo stile semplice e scorrevole, con una trama piuttosto classica: al lettore più esigente saranno però evidenti alcuni limiti che rendono questo romanzo una seconda prova non completamente riuscita.

Il romanzo decolla lentamente, e molte pagine iniziali sono dedicate alle vicende personali di Solveig Berg, personaggio sul quale vale la pena di fermarsi per qualche considerazione. Solveig Berg è molto millenials: nel suo modo di rapportarsi alle cose quotidiane e sentimentali, nel suo modo di intendere il lavoro, nel suo stile di vita. Tanto più il lettore sarà vicino – anagraficamente e culturalmente – a questa generazione, tanto più riuscirà a sentire una vicinanza con la protagonista, altrimenti difficile da creare. In particolare i lettori più maturi ed esigenti, cresciuti con Chandler o Ellroy (in effetti il titolo del primo romanzo “Stockolm confidential” pare una palese citazione, forse un po’ furba) faranno più fatica a empatizzare con un personaggio lontano da quel mondo cinico, intenso e romantico: Hanna Lindberg tratteggia il ritratto di una giornalista che non si ferma di fronte a nulla per trovare la verità e che scava nel torbido di un mondo pieno di segreti, ma l’intenzionalità hard boiled si scontra con lo stile più leggero di una generazione che cresce con i blog, Buzz Feed, la pervasiva presenza della rete, e il risultato è la percezione di una certa mancanza di spessore.

Il gusto di uccidere è ambientato nel mondo dell’alta cucina: tema e ambientazione decisamente di moda, dato che oggi gli chef sono delle vere rock star, protagonisti in tv, in libreria, del gossip. La Lindberg indaga in questo mondo fatto di ambizioni, vendette, meschinità e manie di grandezza: per molti aspetti, regala al lettore esattamente quello che il lettore si aspetta – e in questo senso il romanzo non tradisce le aspettative – ma la sensazione è che la sua conoscenza sia fondata, più che sulla realtà, sulla narrazione televisiva. C’è quindi un certo “conformismo dell’anticonformismo”, e il romanzo prende in prestito questo mondo per raccontare una storia gialla, ma non è un romanzo sui retroscena di quel mondo: per gli appassionati di trasmissioni gastronomiche, siamo più dalle parti di Masterchef che di Chef’s Table, per intenderci. E letterariamente parlando, lontani anche dal “Kitchen confidential” del compianto Anthony Bourdain, molto hard boiled anche senza morti o indagini.

Nel complesso quindi Il gusto di uccidere è adatto a una lettura non particolarmente impegnativa – né nello stile che nella trama –  comunque piacevole, e con una forte interazione tra la vicenda principale e la storia personale della protagonista.

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Il gusto di uccidere
  • Lindberg, Hanna E. (Autore)

Articolo protocollato da Marina Belli

Lettrice accanita, appassionata di rugby e musica, preferisco – salvo rare eccezioni – la compagnia degli animali a quella degli umani. Consumatrice di serie TV crime e Sci Fy, scrittrice fallita di romanzi rosa per eccesso di cinismo e omicidi. Cittadina per necessità, aspiro a una vita semplice in montagna o nelle Highland scozzesi (a condizione che ci sia una buona connessione).

Marina Belli ha scritto 146 articoli: