Cari avventori del Thriller Cafè, oggi ho il piacere di recensire per voi l’ultimo romanzo di Matteo Cavezzali, che si intitola “Il labirinto delle nebbie” ed è pubblicato da Mondadori. Matteo Cavezzali è un giovane scrittore ravennate, che ha al suo attivo già un paio di romanzi, diversi racconti, scritture per teatro e due saggi, oltre ad altrettanti podcast. Personalità eclettica, più volte premiato per le sue opere, collabora con diversi quotidiani e cura alcuni eventi culturali in giro un po’ per tutta Italia, dal Trentino a Salerno. In questo caso ci regala un bel romanzo che ha anche il pregio di non essere un “mattone”. Si direbbe che è condensato come le paludi di cui parla e che va distillato con pazienza, che per chi scrive è un grande pregio.
La storia è ambientata nella sua Romagna, nelle “valli”, che come l’autore ci spiega nella bellissima Nota finale (che vale da sola il libro), non sono saliscendi collinari o montani come potremmo credere, ma sono quella zona “dove il Po esplode in mille ramificazioni”. In particolare, nel piccolo paesino immaginario di Afunde, che in romagnolo significa che il paese “affonda”.
Siamo alla fine della prima Guerra Mondiale, e lo si intuisce tra le righe, come se emergesse piano piano dalle nebbie nelle quali è ambientato il romanzo. Ad Afunde avvengono misteriosi delitti, che hanno un che di rituale, perché i cadaveri sono ritrovati con strani simboli sul corpo. Le donne del luogo, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione perché molti uomini sono morti in guerra, sono terrorizzate e lo Stato, entità che per Cavezzali assume quasi un’aura metafisica, manda a indagare l’ispettore Bruno Fosco per dipanare la matassa. Impacciato e fuori luogo fin dall’arrivo, non riuscirà mai a inserirsi tra le persone della comunità locale e sarà costretto a ricorrere al loro aiuto per trovare il colpevole.
Il vero protagonista di questo romanzo è tuttavia la Palude. Luogo dove la Natura ha il sopravvento, dimora di riti e spiriti millenari, la Palude detta i ritmi della storia ed è solo carpendone i segreti più profondi che l’ispettore Fosco riuscirà a venire a capo dei misteri di Afunde. Come la giungla del Congo per Marlow in “Cuore di tenebra” (il parallelo è suggerito dallo stesso Cavezzali nella nota finale), la Palude sarà lo scenario di un percorso di introspezione e di espiazione per Bruno Fosco, che proprio come Marlow sarà costretto ad arrendersi alla Natura.
C’e anche molta Romagna nel romanzo di Cavezzali. Romagna amata, quasi adorata, terra di uomini liberi, di anarchia, di rifiuto dello Stato e di orgoglio per la propria comunità e le proprie tradizioni. Una terra che ha sempre manifestato un profondo disprezzo non solo per i tiranni, ma anche per le guerre, che sottraggono gli uomini migliori alla popolazione locale e li mandano a morire per non importa chi, per dirla alla Brel. Proprio come nella tradizione delle azdore, matriarche romagnole che governano le case con pugno di ferro, ad Afunde le donne la fanno da padrone e sono loro che guidano la ribellione contro i possidenti locali, che per i loro capricci trattano i popolani come bestie.
Nel romanzo un po’ distopico di Cavezzali, per il quale la Palude è anche la metafora della nostra epoca fragile e priva di un futuro da conquistare, sembra esserci poca speranza per gli esseri umani. In balia di una Natura feroce che non lascia scampo e dei propri istinti bestiali che li portano a uccidere i propri simili, rimane loro forse solo un po’ di consolazione degli affetti, che sono però sempre precari e mai a lieto fine. Un monito che deve servirci da guida, soprattutto per coloro che confidano, più o meno consciamente, nella nostra onnipotenza.
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