“Ogni opera d’arte è un crimine non commesso” avrebbe detto il filosofo tedesco Theodor Adorno per rimarcare come la follia creativa possa manifestarsi sotto svariate forme. Nel Maestro dei sogni, un thriller psicologico di quasi 500 pagine di adrenalina pura, De Franchi, da buon artista della penna quale è, allestisce un vernissage pittorico a tinte fosche e accompagna il lettore in un viaggio allucinante tra delitti scenografici e malattia mentale. Torna Valentina Medici, la giovane commissaria dello SCO (Servizio Centrale Operativo) ancora lesionata nel profondo dal sequestro, e le torture, subite nel precedente libro, La condanna dei viventi. Decisa ad abbandonare carriera e distintivo, viene ingaggiata dall’Europol per catturare la sua aguzzina, la pericolosa psicopatica Hannie Jannsen, al vertice della Geenna, una rete tentacolare di invasati del dark web, di matrice internazionale, che miete delitti collegati dal fil rouge di un malevolo, e inesplicabile, disegno superiore. Nonostante la prospettiva di risuscitare ricordi sanguinanti inorridisca la Medici la giovane accetta l’incarico consapevole che “l’unica via d’uscita dall’abisso era lasciarsi sprofondare”. Coadiuvata dall’ispettore tecnico della SCO ed esperto di informatica Loris Manna e supportata da Fabio Costa, vicequestore in quiescenza inizia una sanguinosa caccia al mostro. Mostro che ha momentaneamente dismesso i panni della Geenna e che porta il nome, altisonante, di Samael, l’angelo della morte. Un astuto affabulatore dal modus operandi contraddittorio e imprevedibile che firma i suoi omicidi con ermetici messaggi da decrittare. Un dispensatore di catarsi a poco prezzo, un Maestro dei sogni da realizzare, sì, ma imbrattati di pece. Tra le vittime di Samael, “feticci umani da immolare alla follia”, c’è Gabriele Piovesan, giovane collega poliziotto della Medici. Parte così un’inchiesta serrata e travolgente, dal ritmo sincopato, dove le pagine, e i volti e i luoghi, corrono veloci e ogni personaggio, persino quelli minori, ha un suo innegabile appeal.
L’autore dimostra di saper giocare bene coi chiaroscuri esistenziali, coi contrasti, le paure, le distonie scarnificando i suoi protagonisti, la Medici, Manna e Costa in particolare, fino a restituirceli tremendamente vulnerabili, veri. Il Maestro dei sogni è una mesmerica caccia all’uomo che non concede pause alla tensione fitto com’è di colpi di scena, depistaggi, misteri, abiezioni. Finché, a un certo punto, De Franchi sgretola il teorema dell’indagine perfetta, tutta logica e deduzione, e lascia che l’intrepida poliziotta ne intraprenda un’altra, più personale. Più sofferta. Del resto, si sa, la Medici non ha mai dimenticato. L’ossessione per ciò che è stato la condurrà, inevitabilmente, verso un vis a vis privato, e provato, con l’assassino, Samael che uccide ispirato dalla variegata policromia delle malattie mentali. De Franchi ci conduce, per mano, negli scantinati impraticabili dei meandri umani e lo fa con cognizione, proponendoci un’orda di patologie psichiatriche, alcune delle quali sconosciute, che ci risucchiano nei loro intrichi, nelle loro pieghe. Tra le loro piaghe. Il Maestro dei sogni si configura, dunque, come un tortuoso viaggio tra luci e ombre, incubi e realtà che comincia, non a caso, dal tetro manicomio Santa Maria della Pietà a Roma, uno degli ultimissimi a essere stati chiusi dalla legge Basaglia. E si sposta, avvincente, in un tour da un capo all’altro dell’Italia sondando l’antartica geometria dell’orrore che emerge fluida, in tutta la sua forza. Dove la labilità umana diventa il luogo ideale di pervasione, di invasione. Di distruzione.
Il Maestro dei sogni è come la rosa di Halceti, un fiore particolarissimo i cui petali nascono rosso carminio e deperiscono d’un nero catrame. De Franchi riconferma il suo talento, – se non da giardiniere di sicuro letterario – e ci regala un mélange di suspense e absentia in cui le nostre bocche pendono da ciò che la sua penna scrive. E forse, e soprattutto, da quello che tace. Consigliatissimo.
Recensione di Manuela Maccanti.
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