Marcos y Marcos ha appena pubblicato in italiano “Il maratoneta” di William Goldman (la traduzione è di Tilde Arcelli Riva). Si tratta del romanzo del 1974 da cui è stato tratto il celeberrimo film omonimo di John Schlesinger, con Dustn Hoffman e Laurence Olivier.

William Goldman è uno dei più grandi sceneggiatori di tutti i tempi, autore di decine di sceneggiature di capolavori cinematografici e vincitore di due premi Oscar per “Butch Cassidy” e “Tutti gli uomini del presidente”. Lo si capisce dalla maestria con la quale costruisce abilmente i dialoghi di questo romanzo, alimentando la suspense e la tensione di un intreccio perfettamente architettato. Non a caso ha prestato la sua penna a numerosi film thriller di successo (si pensi per esempio al magnifico “Misery non deve morire” dal romanzo di Stephen King).

La storia è uno spy-thriller mozzafiato costruita sullo sfondo di alcuni episodi storici del secondo dopoguerra e, più in particolare, della protezione che alcuni stati sudamericani hanno concesso fino alla fine del secolo scorso a ex criminali nazisti che si sono ricostruiti una reputazione.

Thomas Babington Levy, detto Babe, protagonista del romanzo, è uno studente di storia alla Columbia, che vuole ricostruire la storia della sua famiglia e delle persecuzioni subite dal padre, anch’egli storico, nell’epoca del maccartismo. Per riuscire a farlo dovrà passare attraverso alcuni rocamboleschi episodi e, solo alla fine del romanzo, riuscirà a scoprire le dolorose verità che gli sono state celate. Se come chi scrive avete visto il film, non potrete non “vedere” nei panni di Babe il grande Dustin Hoffman che attraversa le insidie della vita al passo del maratoneta (da qui il titolo) e tramite le corse a Central Park a New York, scopre i segreti di un intrigo internazionale.

La prosa scorre in modo assolutamente piacevole e, nonostante una trama complessa che intreccia molti percorsi differenti in diverse parti del mondo, Goldman riesce sempre a mettere il lettore in condizione di non perdersi nelle pieghe del racconto. I dialoghi, come accennato sopra, sono la parte migliore del romanzo e dimostrano la capacità dell’autore di scavare a fondo nella psicologia dei suoi personaggi e di tratteggiare in modo superlativo la figura di Babe.

New York fa per la maggior parte da sfondo al romanzo e si tratta di una New York sempre maestosa e solenne (compreso il campus della Columbia University dove peraltro Goldman si è laureato), anche se questo non è un thriller da autopattuglie e detective, ma da storie spionistiche internazionali, dove agenti segreti alla James Bond sono i veri protagonisti (memorabile una citazione che Goldman mette in bocca a uno dei suoi personaggi tratta dall’eroe di Ian Fleming).

Concepito negli anni dove era all’apice la guerra fredda, il romanzo ricostruisce il clima della persecuzione nazista e del maccartismo e ci restituisce uno spaccato della cultura ebraica molto ben riuscito. Agli occhi di Babe, la sua famiglia è l’emblema di chi, perseguitato per le proprie origini e la propria religione, ha finito per subire una nuova persecuzione negli anni Cinquanta per le proprie opinioni politiche.

Scritto negli anni Settanta del Novecento, questo romanzo deve molto al clima culturale di quei tempi. Leggendo “Il maratoneta” si capisce che Babe è uno studente che ha ricevuto in eredità gli anni del dopo Vietnam, del clima asfittico della guerra fredda e degli equilibri contrapposti. La sua corsa verso la verità ritrovata è anche la corsa della cultura e dell’intelligenza contro un mondo che rischia di sacrificare la propria sorte a una folle corsa verso armi e sistemi di distruzione di massa.

Recensione di Giuliano Muzio.

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Il maratoneta
  • Goldman, William (Autore)

Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 145 articoli: