Il morso del Varano - William Bavone

«Il primo aggettivo che mi viene in mente è caldo, perché è così questa storia, avvolgente. Il secondo è inquietante. Il terzo è sorprendente perché, giuro, che finisse così, questa storia, non me lo immaginavo proprio. E mi è piaciuto».

Caldo, inquietante, sorprendente: Carlo Lucarelli non avrebbe potuto scegliere aggettivi migliori per descrivere Il morso del Varano, ultima fatica letteraria targata Newton Compton di William Bavone, talentuoso autore salentino di nascita e parmense di adozione. Caldo perché è un mélange di indagine ed emotività; inquietante perché scoperchia un sottobosco di verità scomode e inimmaginabili; sorprendente perché depista, nasconde, offusca.

Bavone coniuga con maestria gli elementi della detective fiction a una solida costruzione letteraria dando vita a un giallo agile nella lettura ma raffinato nella forma che esplora in maniera acuta e, direi, non convenzionale l’inferno dei rapporti familiari, la corruzione e gli equilibri (a)sociali fondati su un’ossatura di cartongesso. L’ispettore Nico De Luca, il protagonista, un moderno Don Chisciotte ma in chiave antieroica, combatte l’egemonia delle apparenze, dei poteri forti. L’egemonia del silenzio.

Ambientato in una torbida Bologna dei giorni nostri, città vividamente caratterizzata quasi fosse una coprotagonista, Il morso del varano si sviluppa intorno all’omicidio di un giudice in pensione, Filippo Stefanini, per mano di un assassino che sembra assai abile a non lasciare tracce dietro di sé.

Chi poteva volerlo morto e perché?

Certo, il ruolo autorevole che Stefanini rivestiva gli ha inimicato, negli anni, non poche persone ed è nella cerchia oscura delle alte sfere di potere, intrise di corruzione e finto perbenismo, che occorre concentrare le indagini. Prima che il killer colpisca ancora. È qui che entra in scena De Luca, detto il “Salentino albino”, chiamato dal PM a investigare sul pruriginoso caso. Pressato dal sostituto procuratore, il Dottor Ponzi e dall’avvocato Ferri, vicesindaco di Bologna, dovrà scovare il colpevole in tempi rapidi.

Uomo dalle mille complessità e contraddizioni, De Luca ha fatto in fretta e furia i bagagli e, dalla Puglia, si è trasferito a Bologna per cercare di togliere un po’ di pus dalle sue ferite. Con sé ha trascinato l’inquieta nipote Giulia, giovane studentessa universitaria al DAMS, con cui ha un rapporto controverso e conflittuale.

Ma le ombre, si sa, sono infide e si infiltrano ovunque. Persino nelle valige.

Mentre De Luca indaga, mosso da un impulso etico-utopico che lo istiga a una permanente ricerca della verità, e comincia a tessere le prime supposizioni sulla morte del giudice, Giorgio Spiga, ex carabiniere, viene trovato cadavere. «La testa sigillata nella busta» scrive Bavone «e un nastro nero teneva l’involucro ben saldo alla base del collo».

Esiste un legame tra le due morti? Un collegamento? In apparenza parrebbe di no. Peraltro l’assassino ha usato due modus operandi talmente diversi (Spiga soffocato e Stefanini sgozzato) da far dubitare che a uccidere le vittime sia stata la stessa mano sanguinaria.

Eppure.

Mentre il passato riaffiora dalle crepe di una società commediante, avvezza alle scenografie in pompa magna e ai maneggi dietro le quinte, il mistero sulle morti resta irrisolto. Tra false piste ed errori di valutazione l’indagine prende una piega imprevista: il killer continua a uccidere.

Raccontato con uno stile antisolenne, colloquiale e asciutto, Bavone ricorre alla narrazione in terza persona, con punto di vista focalizzato, per De Luca (di cui partecipiamo ai sommovimenti interiori, le pulsioni, le tensioni) e inserisce in qualche capitolo la voce dell’assassino. Voce che ci aiuta a comprenderne meglio le efferatezze e la «scintilla di follia che gli abitava la profondità della pupilla». E non solo. Sarà proprio lui a svelarci il significato del titolo del libro: «La mia vita è stata come il morso di un varano, un morso ricevuto da bambino e che mi ha fatto marcire dentro, mi ha reso un inutile essere vivente. Ma ora sono guarito, ho ingerito l’antidoto della vendetta e sono diventato io stesso un varano, un predatore».

All’indagine ufficiale, che mette sotto inchiesta l’equazione crimine/potere, Il morso del varano affianca l’esplorazione dei sentimenti umani in tutte le loro sfumature e la consapevolezza delle tortuosità emotive che rendono difficile operare una cesura netta fra un prima e un dopo.

Le azioni del passato non restano mai tali. Intaccano destini, li ammorbano, li condizionano.

Bavone, dotato di una vulcanicità creativa, proietta il lettore in un mondo di incertezze, intrighi e ostacoli per orientarlo nell’affascinante meccanismo del giallo, una coltre densa di interpretazioni possibili. Ma, non per questo, esatte.

De Luca si troverà davanti a un quadro di indizi da comporre (e ricomporre) dove la verità, ben diversa da quella immaginata, si sottrarrà alla sua immediata comprensione. E alla nostra. Fuori campo, nascosta, troppo piccola per essere vista.

Una storia intensa, tesa e appassionante giocata sul ritmo narrativo (momenti di apparente stasi alternati a improvvise accelerazioni) che mantengono l’attenzione, e la voglia di proseguire nella lettura, sempre alta. Bavone riesce costantemente ad accorciare distanze, prima fra tutte quella tra storia e finzione, poi tra sé e il suo personaggio che, per origini e chissà cos’altro, sembra essere un po’ il suo “specchio” riflettente.

Ottimo giallo. Da leggere. Assolutamente.

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Articolo protocollato da Manuela Maccanti

Manuela Maccanti vive a Fucecchio, in provincia di Firenze. Nata nel 1977, è laureata in Lingue e letterature straniere e ha un passato da giornalista per Il Tirreno. Dopo aver frequentato laboratori di scrittura creativa, nel 2021 si iscrive alla scuola Saper Scrivere e diventa editor e correttore di bozze. Finalista in vari concorsi letterari nazionali e pubblicata su antologie di poesie e racconti (Silvio Ulivelli Edizioni, Raffaelli Editore, Delos Books, Writers Magazine Italia, Algra Editore), nel 2021 esce il suo primo romanzo, "Lo stoppino e la candela", Capponi Editore. Appassionata di arte, di Hitchcock, della mente umana e del mistero in tutte le sue sfaccettature (gialli, thriller, noir) nel 2023 pubblica il suo primo thriller psicologico, "Cella numero ventitré", edito da Sette Chiavi (finalista al "Garfagnana in Giallo" 2024 e menzione speciale per il miglior protagonista). La sua frase preferita è: «Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso».

Manuela Maccanti ha scritto 11 articoli: