Dopo Confine di stato (2007) e Settanta (2009), si completa finalmente con Il paese che amo la Trilogia sporca dell’Italia di Simone Sarasso. Il volume è edito da Marsilio come i precedenti ed è stato da poco stato reso disponibile nelle librerie italiane. Oggi ve lo presentiamo volentieri qui al Thriller Café.
Ljuba Marekovna viene dai bassifondi di Cracovia, ma diventerà la Regina della tv privata, una spia senza cuore al servizio del partito comunista e molto altro ancora. Tito Cobra è il primo presidente del consiglio socialista della storia e ha il suo bel da fare a tenere in riga lo Stivale. Andrea Sterling, l’Uomo Nero dei servizi segreti, rischia di smarrire il proprio posto nel mondo dopo il crollo del Muro di Berlino.
Salvo Riccadonna detto Dracula, il fiore all’occhiello di Cosa Nostra, è pronto per la mattanza che farà crollare la Cupola. Domenico Incatenato, giudice inflessibile e padre amorevole, si prepara a dar fuoco alla miccia che farà deflagrare il sistema dei partiti e raderà al suolo la prima repubblica. Sul palcoscenico d’un Italia corrotta e malandata sventola un tricolore fatto a pezzi, mentre i protagonisti lottano all’ultimo sangue tra le ultime propaggini della Guerra Fredda e l’alba del mondo nuovo. Sullo sfondo, gli anni rampanti dello yuppismo e del malaffare di Stato, delle bombe di mafia e delle mazzette: un Paese sull’orlo del precipizio, con le mani imbrattate di sangue e le tasche piene di soldi sporchi. L’Italia, il Paese che amo.
A seguire, direttamente dalla nostra copia di Il paese che amo, vi riportiamo l’incipit:
UNO
1981Scena 1.1
Andrea Sterling: New York City, USANew York City, niente di meglio per ricominciare.
Andrea Sterling stava per compiere sessantun’anni, e la sua vita non era esattamente quella di un pensionato. Si guardò allo specchio in camicia e mutande mentre stringeva il nodo windsor della cravatta di seta: cicatrici e un sacco di brutte storie su quella faccia che sapeva d’avventura. Suture vecchie d’un secolo dalla coscia al polpaccio, dove i calzini in tinta ricoprivano il resto d’un passato troppo duro da ricordare. Infilò le braghe e la giacca: un doppiopetto nero notte da duemila dollari. Col pettine d’osso che teneva nel taschino sistemò i capelli. Una passata di gommina per darsi un tono; i mocassini di cuoio, l’impermeabile e quel cappellaccio a tesa larga che, da qualche tempo, era diventato il suo marchio di fabbrica.
Un’ultima occhiata: non c’era proprio niente che non andasse.
Si accese una paglia guardando fuori dalla finestra dell’attico: Upper West Side, un quartiere da ricchi. Central Park, oltre il vetro, era uno schiaffo in faccia alla povertà: quegli alberi, piantati nel cuore della più merdosa jungla di cemento di tutto il globo, ricordavano ai newyorchesi che ci sono solo due modi di giocare la partita: lavorare duro e passare la vita a prendere ordini; o rischiare tutto, fottere il banco e portarsi a casa il jackpot. La vita di Andrea Sterling era finita un sacco di volte sul tavolo del destino.
Qualche volta aveva vinto, altre era finita peggio.
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