Passaggio di scuderia per Carlo F. De Filippis che, con Il paradosso di Napoleone, porta il suo commissario Vivacqua da Giunti a Mondadori per una seconda indagine a Torino e provincia che si prospetta ancora più difficile di quella, già delicata, letta in Le molliche del commissario.
Salvatore Vivacqua, per nostra fortuna, è ben abituato a traslocare: Totò, così è conosciuto fra gli amici, ha inizialmente sofferto il trasferimento dall’amata Sicilia a Torino, ma ben presto ha saputo trovare nella capitale sabauda più di un richiamo alle terre natie: “per quel tono di serietà che Torino mette nelle cose, quel senso di dignità, di eleganza, di storia che solo se sei nato nel Sud riesci a capire.”
Irriverente, ironico, dai modi poco ortodossi e “con più cicatrici che capelli e un carattere quadrato come la sua stazza”, Vivacqua in soli due romanzi è riuscito a emergere nella narrativa di genere italiana, affollata da un’infinità di commissari che provano a distinguersi e conquistare uno spazio sugli scaffali delle librerie. Andiamo a vedere cosa lo attende in questo Il paradosso di Napoleone.
Piove da giorni su Torino e il commissario Vivacqua, capo della Direzione Investigativa, non riesce più a sopportare tutta quell’acqua che cade incessante dal cielo. Per fortuna o sfortuna, arriva una telefonata a distrarlo dalle brutte previsioni meteo: è il questore, che lo spedisce a Carmagnola per una grana bella grossa, un ginepraio che metterà a dura prova le capacità di Totò.
Pierluigi Paternostro, ex hippie tanto geniale quanto sregolato, è stato massacrato nella sua maestosa tenuta in campagna. La vittima era una persona pacifica, magari originale ma senza nemici ed è difficile pensare a qualcuno così pieno d’odio da volerlo uccidere in tale modo. A complicare ancora di più le indagini c’è il fatto che il cadavere è stato rinvenuto a ben quattro giorni dalla morte, un lasso di tempo che comporta un ritardo investigativo pesantissimo.
E mentre Vivacqua cerca i minimi indizi ecco che le vittime aumentano e le alte sfere, i politici e le varie autorità premono per una soluzione immediata, facendo capire al commissario che se non riuscirà a identificare un colpevole in poco tempo si troverà senza più indagine, che sarà affidata a un esterno.
Con pochi giorni ancora a disposizione, Totò si trova costretto a dare il massimo e a puntare molto sulla sua squadra: il mite e analitico Sergio Santandrea, detto il Giraffone, l’atletico Migliorino, il più apprezzato nel lavoro sul campo, e poi Carbone, Patanè… e un ospite speciale, il dottor Meucci, funzionario del Ministero in visita, un romano fanatico di Napoleone, argomento su cui ama intrattenersi con dovizia di aneddoti e interpretazioni storiche.
E proprio Il paradosso di Napoleone giocherà un ruolo fondamentale verso il finale di partita, quando Vivacqua e il killer si troveranno l’uno di fronte all’altro.
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