Ci sono mestieri che, più di altri, si appiccicano addosso, e in devoto silenzio rimangono abbracciati all’anima come un amante fedele per l’eternità.
Ci sono città che, più di altre, penetrano nelle esistenze di chi le abita e le scuotono come piante al vento. Ma le radici restano abbarbicate al suolo, ferocemente, instancabilmente, perché certi terreni ti feriscono ma al contempo ti fortificano.
Potrebbe essere questo il sottotitolo del bel romanzo pubblicato da Marsilio Editori offerto per voi oggi all’abituale e imperdibile appuntamento con Thriller Cafè: Il potere di uccidere di Fabrizio Roncone, scrittore e firma del Corriere della Sera.
Marco Paraldi, che abbiamo avuto modo di conoscere nei precedenti La paura ti trova e Non farmi male è un ex giornalista, allontanato dalla redazione per aver alzato le mani su un’autorevole personalità politica. Da un po’ di tempo gestisce la vineria “Mezzolitro”, nel cuore di Roma, e da buon oste che si rispetti, disquisisce di cibi, bevute, cinema, calcio e letteratura. Intimamente, è anche un aspirante giallista, ma ogni volta che si decide a scrivere non può fare a meno di pensare che al mondo c’è un tale che di nome fa Don Winslow, suo idolo, al cui confronto impallidisce inesorabilmente e finisce per non farne nulla.
Quando il vecchio capo della tipografia del giornale lo contatta disperato chiedendogli di ritrovare il figlio misteriosamente scomparso, con qualche remora Marco Paraldi si spoglierà delle vesti di taverniere per indossare di nuovo quelle di giornalista, approfittando del bagaglio di conoscenze che il precedente mestiere gli ha assicurato. L’indagine lo porterà a scavare nel dedalo del potere capitolino, in mano a individui corrotti, violenti, immorali, privi di scrupoli, il cui unico scopo è il malaffare e il tornaconto personale.
Come spesso accade quando la professione di un personaggio della finzione coincide con quella del suo creatore, sorge spontaneo il pensiero che Marco Paraldi sia una sorta di alter ego dell’autore Fabrizio Roncone, a contatto quotidiano con la realtà politico-sociale italiana.
E rimanendo in tema di affinità, chi, serbando il sogno nel cassetto di scrivere un romanzo, la maggior parte delle volte, sul foglio bianco in attesa di parole, non vede altro che il proprio punto di riferimento letterario neanche lontanamente raggiungibile, e puntualmente desiste? Chi vi scrive lo sa bene.
Il potere di uccidere è uno spaccato ironico e impietoso di una città che appare sempre più fagocitata dalle sabbie mobili di un egoismo e di un arrivismo da cui non si salva nessuno, e dai quali non può scaturire altro che una democrazia allo sbando. Ciò nonostante Roma è sempre Roma, specchio di un popolo il cui glorioso passato, parafrasando il grande Carlo Sgorlon, è come la radice di una pianta, unica fonte di resistenza e riscatto.
Il romanzo porta anche a riflettere sulla professione del giornalista, di colui che non solo divulga notizie ma va a cercarsi la verità celata in esse con una sana dose di coraggio e di incoscienza, in quella pratica di giornalismo d’inchiesta che forse al giorno d’oggi si è un po’ persa a scapito di facili e fatui sensazionalismi. Nella mia personale esperienza di lettore non ho mai trovato una definizione del mestiere di giornalista così calzante (e al contempo divertente) come quella che Paraldi, a un certo punto, ricorda menzionando Hubert Renfro Knickerbocker (1898 – 1949), noto inviato di guerra statunitense e uno dei primi corrispondenti dalla Germania degli anni Venti e Trenta: Se vedi centinaia o migliaia di persone normali che cercano di scappare da un posto, mentre un matto cerca di entrarci, non c’è dubbio: quello è un giornalista.
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