Jacob Bishop è un ex detenuto per rapina reintegratosi con solerzia nella società. È sposato con Paris, che tra poche settimane lo renderà padre, lavora come parrucchiere (mestiere appreso in carcere) ed è in procinto di aprire un salone in proprio. Tutto sembra far parte di quel percorso lastricato di rettitudine e buona volontà il cui traguardo è il raggiungimento della tanto agognata “seconda possibilità nella vita”, concessa solo a chi, dopo aver scontato la pena, è fermamente deciso ad abbandonare la strada del crimine e vi si dedica anima e corpo.
Quando però un vecchio compagno di cella, a cui Jacob è molto legato, lo contatta per proporgli un furto di preziosi, all’apparenza piuttosto facile e privo di brutte sorprese, torneranno alla luce eventi del passato impossibili da cancellare. Oltre all’avidità per il cospicuo bottino che dovrebbe scaturire dalla rapina, si innescherà un effetto domino di debiti da onorare e di vendette da compiere che, nonostante gli inutili sforzi dei personaggi, sarà come una valanga inarrestabile e devastante.
Il romanzo Il recidivo di Les Edgerton, scrittore statunitense scomparso lo scorso 31 Agosto all’età di ottant’anni, per quanto mi riguarda è stata una vera e propria rivelazione. La scrittura aspra e in alcuni frangenti brutale non lascia spazio ad interpretazioni, ed è necessariamente cruda e senza mezzi termini in particolar modo nel raccontare violenze e azioni estreme, essenziali per vivere l’atmosfera frenetica e tormentata della vicenda narrata. L’autore tiene incollati pagina dopo pagina grazie a scambi di battute ben costruiti e a una continua e quasi assillante, ma nient’affatto eccessiva, riflessione introspettiva del protagonista.
Il susseguirsi di imprevisti che travolgono Jacob Bishop, e i conseguenti risvolti psicologici, non potranno che evocare quelli di Sonny Wortzik, interpretato magistralmente da Al Pacino, nel film capolavoro Quel pomeriggio di un giorno da cani, (tra l’altro, a un certo punto nella narrazione, vi si fa riferimento). A me è venuta soprattutto in mente una delle tante sceneggiature di quel fenomeno di Quentin Tarantino, dove i dialoghi serrati degni di un duello western, e il labirinto di ragionamenti con cui il cervello si arrovella per trovare a tutti i costi una soluzione, e cercare fino all’ultimo di cambiare il corso destino a proprio favore, hanno l’unico obiettivo di giungere sani e salvi in fondo al tunnel, nonostante il traguardo assuma sempre più i contorni di un miraggio.
Il recidivo, pubblicato da Elliot Edizioni e tradotto in maniera eccellente da Marco Piva, è una spiazzante e virulenta rappresentazione delle debolezze dell’essere umano e del graduale sgretolamento della società civile. Ci viene mostrata una verità che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni ma siamo troppo indaffarati, o forse troppo incapaci, di vedere, ossia che, a conti fatti, tra chi dà ordini e chi li esegue non c’è alcuna differenza. E il finale catartico ne è l’immagine speculare, riassunto in una citazione di Thurgood Marshall, uno dei giuristi americani più famosi, che vi è riportata: Il problema con la spada di Damocle è che pende, non che cade.
In slang americano c’è l’espressione idiomatica seeing the elephant, letteralmente “vedere l’elefante”. Indica quel momento della vita in cui si perde per sempre l’innocenza e si impara a proprie spese. È ciò che è capitato a Les Edgerton, detenuto alcuni anni nel carcere di Pendleton, nello Stato dell’Indiana, lo stesso del suo alter ego Jacob Bishop. Chissà se lo spauracchio di tornare dietro le sbarre lo ha ossessionato quanto ha ossessionato il suo protagonista. Fatto sta che Les Edgerton, fortunatamente, alla fine è riuscito a vedere l’elefante. E a raccontarci la sua storia.
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