Romanzo molto atteso, esce oggi 17 gennaio Il segno dell’untore, nuovo libro di Franco Forte, autore e giornalista, traduttore, sceneggiatore ed editor delle collane edicola Mondadori.
Si tratta di un romanzo storico, come i suoi più recenti, ma a differenza di questi in esso è ben presente e forte l’elemento investigativo: siamo quindi di fronte a un thriller vero e proprio, ambientato nella Milano del 1500.
Protagonista è Niccolo Taverna, notaio criminale che viene chiamato a risolvere due casi: un furto sacrilego in Duomo e un brutale omicidio. Chi ha assassinato il Commissario Inquisitoriale Bernardino da Savona? E perché? E chi ha rubato il candelabro di Benvenuto Cellini dal Duomo?
Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, vi propongo un estratto tratto dal capitolo 2:
Doveva essere appena scoccata l’ora prima, anche se Niccolò non poteva saperlo con certezza. I campanili delle chiese tacevano da diversi giorni, dopo che il battere dei rintocchi era diventato incessante, sospinto dal gran numero di morti che si inseguivano ora dopo ora. Era stato lo stesso arcivescovo Borromeo a ordinare il silenzio, che non era di spregio alle vittime ma contribuiva a rendere meno fragoroso il pianto e l’urlo d’angoscia di tutta la città.
Niccolò era grato all’archidiocesi per quel provvedimento, ma d’altro canto per lui lo scandire delle ore dai campanili si era sempre dimostrato uno strumento valido per organizzare il lavoro e cercare dei punti di riferimento durante le sue indagini criminali.
Ma adesso non ne aveva bisogno.
Mentre scivolava lungo le strade, diretto al palazzo in cui era stato allestito uno dei tanti provvisori centri di Sanità sparsi in ogni quartiere, Niccolò cercava di guardarsi intorno il meno possibile. Teneva gli occhi puntati sull’acciottolato resistendo al richiamo di urla disperate, grida strazianti, suppliche d’aiuto o strilli di rabbia che provenivano dalle case sbarrate dai monatti e dai commissari di Sanità per evitare che presunti malati di peste uscissero a infettare le poche persone sane che ancora si aggiravano per la città.
Era difficile resistere allo strazio di quelle grida. Da un lato avrebbe voluto intervenire per liberare quei poveracci che rischiavano di finire uccisi dalla fame e dagli stenti, più che dalla malattia; ma dall’altro ricordava il volto pallido di Anita, gli occhi infossati per la sofferenza, e la sua rabbia quando gli aveva gridato di stare lontano da lei, di non avvicinarsi, prima di perdere definitivamente il senno e crollare esausta sul suo giaciglio sporco, le labbra spaccate e lo sguardo perso in un mondo che solo lei poteva vedere.
Il governatore aveva fatto affiggere le sue gride sui muri della città, esortando i cittadini a collaborare con le autorità sanitarie, a restare chiusi in casa a meno che non fosse strettamente necessario uscire, e aveva concesso ai commissari di Sanità un potere quasi assoluto, quando si trattava di individuare focolai d’infezione. Ma il Lazzaretto Maggiore e tutti quelli che erano stati improvvisati in ogni quartiere erano pieni all’inverosimile, e non c’era stato altro modo per cercare di tenere la situazione sotto controllo che chiudere in casa chiunque desse segno dell’insorgenza della malattia, confinando all’interno anche parenti e familiari, possibili portatori del contagio. I monatti sbarravano porte e finestre inchiodandole con le assi e mettendo traversi di sostegno, in modo che dall’interno diventasse impossibile abbatterle, e tutta quella gente era costretta a restarsene imprigionata nella propria abitazione in attesa di ammalarsi e di morire, oppure del miracolo che l’avrebbe riconsegnata al perdono di Dio.
Ma ormai erano troppi quelli costretti alla reclusione, e in tutta la città si levavano grida ingannevoli: tanti asserivano di essere guariti o di non essere affatto ammalati, e imploravano di essere liberati, piangevano, minacciavano, urlavano esausti e smarriti.
La trama è invece la seguente:
Milano, anno del Signore 1576. Sono giorni oscuri quelli che sommergono la capitale del Ducato. La peste bubbonica è al suo culmine, il Lazzaretto Maggiore rigurgita di ammalati, i monatti stentano a raccogliere i morti. L’aria è un miasma opaco per il fumo dei roghi accesi ovunque.
In questo scenario spettrale Niccolò Taverna, Notaio Criminale, viene chiamato a risolvere due casi: un furto sacrilego in Duomo e un brutale omicidio. Un’indagine incalzante, con lo spettro incombente della Santa Inquisizione, per risolvere un caso di omicidio che potrebbe dimostrarsi molto pericoloso. Lo stesso arcivescovo Carlo Borromeo pare implicato, così come le più alte cariche della Corona di Spagna e della Santa Sede. Per non parlare dell’ordine degli Umiliati, che il Borromeo ha cancellato e che già una volta ha cercato di uccidere l’arcivescovo di Milano.
Sfruttando le sue straordinarie capacità investigative e le tecniche d’indagine dell’epoca, il Notaio Criminale Niccolò Taverna cerca di venire a capo di questi due intricati casi, che rischiano di compromettere la sua carriera e la sua stessa incolumità. Pur sostenuto da un intuito eccezionale, è costretto a combattere contro troppi nemici, tutti troppo potenti: pericolosi assassini, la Santa Inquisizione, la peste, i cui artigli ghermiscono proprio chi Niccolò ha di più caro.
Per il più abile Notaio Criminale di Milano la sfida è aperta e la posta in gioco è alta: la propria carriera e la propria incolumità. Oltre all’amore per una fanciulla nei cui occhi ha l’impressione di annegare.
Nei prossimi giorni, Franco Forte ci racconterà di persona qualcosa in più su Il segno dell’untore in un’interessante intervista: restate da queste parti per non perdervela!
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