Credo che alla recensione di oggi spetti un attacco senza preamboli: “Il segreto del Gran Maestro” di Gianluca Barbera è un libro spiazzante, una scossa tellurica che fa sussultare la sedia di convinzioni su cui il lettore, soprattutto se appartiene a un’altra generazione, è stato adagiato nel corso degli ultimi decenni.
Il giornalista Marco Sangiorgi si reca a Villa Wanda, storica dimora ubicata nella campagna aretina, allo scopo di intervistare Licio Gelli (nel libro si cita sempre con la sola iniziale G.), la mente suprema a capo della Loggia Massonica P2, conosciuto anche come Maestro Venerabile e Gran Burattinaio.
Attraverso le domande con cui Sangiorgi cerca di dipanare la coltre di mistero che avvolge la Massoneria italiana, e le risposte più o meno esaurienti dell’interrogato, si intraprende un incredibile viaggio nella storia del nostro paese a partire dal 1877 (anno in cui è stata fondata la Loggia Massonica P2) ma in modo particolare dal secondo dopoguerra fino agli anni ’80, periodo in cui è stata protagonista assoluta e quasi impalpabile sulla scena nazionale e internazionale. E con le successive indagini che portano Sangiorgi a consultare un amico di infanzia di Gelli, nonché ex commilitone di quest’ultimo, e l’avvocato che lo difese in più di un occasione dalla sequela di accuse che gli vennero rivolte nel corso degli anni, quello che emerge è un quadro a dir poco sconvolgente.
La parola massoneria, almeno per chi vi parla, ha da sempre evocato un gruppo di individui dalle importanti cariche pubbliche e legati da interessi comuni, questo sì, ma più che altro (con colpevole ignoranza, lo ammetto) attorniati da un’aura di stregoneria e impegnati in pratiche occulte che rimandano a epoche antiche. Be’, se mai questa suggestione avesse qualche fondamento sarebbe una parte alquanto minima, perché il resoconto del Gran Maestro cala il lettore in una realtà parallela, in un mondo sotterraneo a tutti gli effetti.
La Loggia Massonica P2 (acronimo di Propaganda Due) ha esteso le proprie ramificazioni non solo alle più alte e illustri cariche politiche, economiche, militari e religiose dell’Italia, ma letteralmente di tutto il mondo: vari capi di stato europei, del Sudamerica, Presidenti degli Stati Uniti, il Vaticano, in un coacervo di tornaconti reciproci che hanno visto immischiate le autorità più svariate.
Con una narrazione penetrante, dall’appassionante taglio d’inchiesta giornalistica, Gianluca Barbera ci prende per mano e ci conduce vis a vis con una vera e propria rete di pressioni e controspionaggio finalizzata al controllo di tutti gli apparati statali, allo scopo di imbrigliarne ed instradarne gli obiettivi entro i confini nazionali e al di fuori di essi, con il sospetto (mai del tutto fugato) del coinvolgimento anche in clamorosi fatti di cronaca: dal crollo del Banco Ambrosiano al rapimento di Michele Sindona, dal fenomeno dei desaparecidos in Sudamerica alla strage di Bologna del 1980 solo per citarne alcuni.
La consistenza che si delinea è quella di una tentacolare associazione a delinquere, eversiva, uno stato nello stato, un’Italia sorretta da una stratificazione di segreti inviolabili e patti invisibili che hanno condizionato le più importanti decisioni politiche e non solo degli ultimi settant’anni, arricchendo a dismisura chi, nell’ombra, ne governava le redini.
Se mai esistesse una frase, un concetto riepilogativo di questa epoca e di un paese che ha giocato contemporaneamente il ruolo di spettatore e di protagonista, sicuramente è l’emblematica risposta che il Gran Burattinaio (mai appellativo fu più azzeccato) dà a Sangiorgi quando quest’ultimo, a un certo punto dell’intervista, gli chiede la ragione per cui in Italia ci sono da sempre così tanti misteri, in una concatenazione che pare risalire alla notte dei tempi: Perché è la predisposizione della nostra indole. Nascondiamo anche quando non serve.
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