Edito da Mondadori, oggi recensiamo Il settimo peccato di Carlo A. Martigli, da pochi giorni in libreria.
Siamo all’inizio del Cinquecento e Giovanni Ciocchi, ai tempi in cui narra questa storia, è ancora molto lontano dal giorno del 1550 in cui verrà eletto papa. Ha poco più di quindici anni ed è in viaggio verso Venezia insieme all’inquisitore francescano Martino da Barga, suo mentore e maestro di vita. Magister e apprendista sono convocati nella Serenissima per partecipare al processo inquisitorio contro il pittore Hieronymus Bosch, accusato di eresia e blasfemia per aver dipinto un Cristo in croce con le fattezze femminili. Mentre Giovanni e Martino fanno la conoscenza dell’eccentrico pittore, della sua singolare visione del mondo e del suo stile di vita dissoluto, con l’intento di difenderlo dalla gravissima accusa che pende sul suo capo, nelle calli cominciano a verificarsi dei macabri delitti. Uno dopo l’altro vengono ritrovati sei cadaveri, su ognuno dei quali l’assassino si è divertito a lasciare segnali da decifrare: monete incastrate nei bulbi oculari, frutti e salsicce deposti accanto ai corpi, e soprattutto piume d’uccello, piume che spuntano dalle tasche, dai corsetti, dalle bocche delle vittime, come firme lasciate da un autore a margine delle proprie opere. Tutta la città conta sul fiuto del magister, noto anche come investigatore ed esperto di cause di morte, per interpretare le tracce seminate dall’omicida e fare luce. Naturalmente, il principale indiziato è proprio il blasfemo e impopolare Bosch.
Hieronymus Bosch è uno dei pittori più insoliti e scabrosi della storia dell’arte: attorno alla sua figura controversa ed enigmatica e alle sue opere visionarie, l’autore costruisce un thriller storico rimarchevole e seducente.
La storia si svolge nel 1503 e ci viene raccontata circa cinquant’anni dopo da Giovanni Ciocchi, quando è già papa con il nome di Giulio III: ultrasessantenne e malato di gotta, parlando in prima persona, ci guida attraverso i suoi ricordi di allievo, le indagini e le calli veneziane, nell’arco di trentasei giorni convulsi e carnevaleschi. Ci presenta e ci svela, pagina dopo pagina, il suo Maestro Martino, personaggio affascinante e acuto. Un frate francescano intelligente e di immensa cultura – “quattro menti in un solo corpo, e non fu mai ambizioso” – attento ai dettagli, amante dei giochi di parole, delle citazioni (che a volte inventa) e dell’etimologia delle parole, dotato di un umorismo fine e irresistibile.
L’illustre voce narrante, tramite profonde riflessioni unite a divagazioni amabili, descrive con zelo e premura il nutrito gruppo di personaggi e lo scenario, rende percettibili profumi e sapori di pietanze e bevande, illustra l’euforia del carnevale e la singolarità dei dipinti di Bosch.
Il risultato è un romanzo ineccepibile e dal passo magnetico che si distingue per trama, ricostruzione storica e per l’epilogo inatteso. Lo stile è elegante e raffinato, a tratti intervallato dalla musicalità del dialetto veneziano. Una lettura godibile, coinvolgente e, senza dubbio, consigliata. Un viaggio nella Venezia del ‘500 tra i suoi misteri e i suoi peccati.
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