Due giorni a settimana Roberto Marìas ha appuntamento dallo psichiatra.
Questo è l’incipit de “Il silenzio dell’onda”, bellissimo romanzo di Gianrico Carofiglio, pubblicato da Rizzoli nel 2011, ambientato ai giorni nostri in una Roma ovattata.
Roberto, carabiniere attualmente sospeso dal servizio, conduce una vita abbastanza monotona, vive da solo, assume degli psicofarmaci, fa lunghe passeggiate e, durante i due giorni di sedute, rievoca i momenti più salienti della propria vita.
Distintosi per capacità e coraggio in giovane età, dalle alte sfere viene promosso a investigatore per far parte della squadra mobile narcotici; da qui le sue doti lo condurranno, con l’avallo dei superiori, a infiltrarsi sempre più a fondo nello spaccio di droga alla scopo di incastrare i fantomatici pesci grossi che manovrano dall’alto i fili del traffico fino all’enorme movimentazione transoceanica di sostanze stupefacenti; il prezzo da pagare per tutto questo è frequentare la feccia degli spacciatori e dei trafficanti più spietati, fino a valicare quella sottile linea che lo conduce a trasformarsi in uno di loro, al punto in cui gli diventa pressoché impossibile abusare di cinismo e potere, e discernere il vero obiettivo delle missioni, i ruoli in gioco, ciò che è finzione dettata dall’incarico e ciò che non lo è. A questi racconti Roberto alterna aneddoti sulla propria adolescenza in California, dove è nato e cresciuto e il cui padre, di origine ispano-americana e anch’egli poliziotto, gli trasmette la passione per il surf.
È grazie a questo lavoro di esposizione, con un occhio e una critica ormai spersonificati dal tempo trascorso, che poco a poco, non senza affanni, ritrosie, e sbalzi d’umore, Roberto comincia a riappacificarsi con la vita, a fare luce sugli angoli più bui di se stesso, a smussarne le asperità e a provare a darne un senso, e in qualche modo a mettere in atto una sorta di rinascita; si ritrova a scoprire Roma, con le sue piccole, grandi unicità a ogni angolo, e inizia la conoscenza con una donna, Emma, afflitta da un senso di colpa e il cui figlio, Giacomo, tormentato dagli incubi, concederà a Roberto la possibilità di riscattarsi e accettare se stesso come uomo e come essere umano. Lo stesso psichiatra, in un passaggio, gli espone un pensiero significativo: “Tutti abbiamo la nostra quota di pazzia. La questione è come ci si convive. Alcuni ci riescono, più o meno bene, altri no. La gente viene da me per imparare a convivere con la propria pazzia, anche se quasi nessuno ne è consapevole”.
Gianrico Carofiglio ci conduce con maestria in un viaggio di introspezione psicologica fatto di dialoghi, di riflessioni, di rabbia, di paura, di dolore, di pensieri ambigui, ma soprattutto di parole non dette, di silenzi e di sguardi, perché è nel silenzio, nel riflettere sulle nostre azioni e su ciò che rispecchiano di noi che si cela la verità più profonda dell’esistenza. La frase che per due volte a settimana Roberto legge nello studio dello psichiatra, scritta su un poster raffigurante Louis Armstrong, alle spalle del dottore, con il trascorrere degli incontri assume via via un significato più simbolico: se chiedi cos’è il jazz, non lo saprai mai. Sta qui la chiave di una consapevolezza più vera e pura nei confronti della vita, di un’acquiescenza delle nostre azioni e della loro interpretazione. E l’onda è l’elemento che pervade tutto il romanzo: l’onda come fenomeno naturale, per chi pratica il surf che deve saper rispettarla, farsi travolgere, imparare a conoscerla e adattarvisi per il mantenimento dell’equilibrio sulla tavola. E poi c’è l’onda metaforica, come incarnazione di ostacolo: se non si è in grado di superarlo non bisogna farsi prendere dal panico, bensì attenderne l’arrivo, interpretarlo, rialzarsi e ritentare.
Leggere “Il silenzio dell’onda” è questo: lasciarsi condurre dalle parole verso la comprensione di un personaggio di finzione fino alla comprensione anche un po’ di noi stessi.
Recensione di Damiano Del Dotto.
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