Ci sono libri che acquistiamo perché conosciamo l’autore (e ci piace) oppure ci fidiamo della casa editrice (che non sbaglia un colpo), oppure ancora perché qualcosa ci colpisce e non sappiamo neppure noi cosa sia stato a spingerci a prenderli dallo scaffale e portarli alla cassa.
Non conoscevo Ilaria Ferramosca ma ricordo bene l’attimo in cui – passando per l’arteria principale di Pavia che porta al Tribunale – l’occhio mi è caduto proprio sulla sua copertina, in bella mostra in vetrina. Avevo fretta, e sono passata oltre. Al ritorno, il negozio era chiuso.
Qualche giorno dopo mi trovavo a Saronno, per un interrogatorio, e il blink si è ripetuto. Non ho resistito, ho chiesto di recensirlo, eccoci qui. Un titolo che trovo meraviglioso e una copertina davvero bellissima: tra i due un comune senso di pace, di immobilità pensosa, interrotti da un evento inaspettato quanto grave. Ed ecco che la promessa esterna al romanzo si riproduce tra le sue pagine: la storia è ambientata a Porto Ionico, un borgo (di fantasia, ma solo nel nome) definito incantevole, rinomato per il mare, i locali e le spiagge, in cui si attua un duplice delitto atroce. A morire, sono una giovane mamma e il figlio. Delitto inspiegabile: lei è una bella donna, timida, ritrosa, mai ha fatto parlare di sé in paese, anzi. Matteo è il ragazzino amato da tutti. Vivono soli, uomini in casa loro non ce ne sono o, meglio, ce n’è stato uno, in passato, e ora non c’è più. Anzi, meglio ancora, una presenza maschile tra quelle mura è di casa, ma… ma via… non è un uomo, è solo Renato, il ragazzone mai cresciuto, quello col ritardo cognitivo. Magritte lo chiamano, perché disegna bene.
E lui è lì, con le mani e gli abiti sporchi del sangue delle vittime, e non sa come spiegarlo così, per quel sillogismo facile facile per cui se sei sul luogo del delitto puoi pure averlo commesso, a finire indagato è proprio Magritte la cui fortuna è finire affidato d’ufficio ad un bravo avvocato, il quale si avvale di un bravo investigatore, di nome Agopar, affascinante e umbratile.
Le cose sono andate come sembra, oppure no? Magritte è un assassino oppure è lui stesso una vittima, e se sì, da quando?
Il tempo trafitto è l’esordio in narrativa di una sceneggiatrice specializzata in graphic novels, e si è già aggiudicato dei premi. Lo stile è pulito, l’ambientazione semplice, ben descritta, riesce a divenire famigliare in poche pagine. Buona lettura, allora.
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