Edito da Nord, Il testamento del papa è il nuovo romanzo storico di Giulio Leoni. Uno degli scrittori italiani di gialli più conosciuti all’estero, grazie anche alla serie di investigazioni di Dante Alighieri, Leoni in questo libro sceglie come ambientazione d’apertura del libro la Roma che vive con sgomento la fine dell’anno 999. Predicatori eretici annunciano l’imminente fine del mondo, e il neo eletto papa Silvestro II piuttosto che curarsi di rassicurare i fedeli dedica quasi tutto il suo tempo a una statuetta, dono dell’imperatore d’Oriente, che emette un suono simile a un canto. A questa affascinante scultura, il pontefice affida la sua eredità.
Quasi mille anni dopo, nel 1928, Roma sta trasformandosi per volere dei progetti mastodontici di Mussolini. Gli architetti capitolini sono tutti impegnati a progettare nuovi edifici; tranne uno: Cesare Marni, costretto a rimediarsi da vivere vendendo antiquariato. Un giorno, questi viene avvicinato da un operaio per una stima sulla foto di una statuetta ritrovata durante degli scavi nell’area dei Fori Imperiali. Marni, incuriosito dall’oggetto, prende a investigare e conosce un eccentrico professore sicuro che si tratti della famigerata statua di Silvestro II, depositaria di un importante segreto.
Quando l’operaio viene però trucidato, l’antiquario si rende conto di aver dato il via a una serie di eventi pericolosi orditi da personaggi misteriosi e da agenti segreti di mezza Europa, tutti interessati a mettere le mani su quell’oggetto che potrebbe segnare le sorti dell’imminente conflitto mondiale.
A seguire, vi lasciamo con l’incipit de Il testamento del papa.
San Giovanni,
il primo giorno di aprile dell’anno 999,
verso l’ora nonaDall’abside della basilica, Gerberto d’Aurillac assisteva paziente alla sfilata dei maggiori esponenti della Chiesa e della città, un interminabile serpente multicolore che avanzava lungo la navata centrale fino ai piedi del suo trono.
Uno dopo l’altro cardinali, vescovi, abati, elemosinieri, rappresentanti delle Arti e capi delle famiglie patrizie s’inchinavano davanti a lui, protendendo le labbra verso l’anello, per poi ritirarsi a capo chino in segno di rispetto.
Gerberto benediceva ciascuno di loro. E intanto si chiedeva in qual misura quel tributo venisse pagato alla sacralità della sua persona, e quanto invece al timore della guardia imperiale che già si era insediata in città: un presidio destinato a rafforzarsi non appena il resto delle truppe guidate personalmente dall’imperatore Ottone III fosse giunto per riaffermare il dominio dell’aquila germanica sull’Urbe.
Non era facile distinguere i veri sentimenti che si celavano dietro quella parata di volti, penetrare che cosa pensassero di lui in realtà i rappresentanti di quella città ricostruita a fatica sulle immense rovine dei templi pagani. Di lui, che avrebbe quella sera stessa assunto il nome di Silvestro, secondo di quel nome nella storia della Chiesa. Un papa straniero nominato da un re straniero poco più che imberbe, anche se investito della porpora imperiale che avrebbe dovuto consacrarlo signore di tutte le genti. Così come la sua tiara avrebbe dovuto imporlo come pastore di tutte le greggi d’Occidente.
Sarebbe stato un lungo e penoso lavoro, quello di ridare un’anima veramente romana alla città, dilaniata dall’orgoglio e dai rancori, dal giogo sottile dei suoi patrizi e dalla mai sopita speranza di spalancare un giorno le sue porte a un re italiano.
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