Del greco Ghiannis (o Yannis) Marìs, nom de plume di Ghiannis Tsirimokos, scomparso a 63 anni nel 1979 è stato da poco pubblicato il romanzo “Delitto a Kolonaki”, edito da Crocetti Editore. Per chi già non lo conosce vale però fare la conoscenza con Marìs attraverso il titolo arrivato nelle librerie nel 2021, sempre per iniziativa della Crocetti: “Il tredicesimo passeggero”. Già la copertina è un messaggio è forte e chiaro: il classico color giallo che contorna un disegno al tratto raffigurante niente meno che Philip Marlowe nella interpretazione, quasi impersonificazione, di Humphrey Bogart.
Dunque, non ci possono essere dubbi: siamo in presenza di una storia robusta, con nerbo, senza ricerche di analisi sociali, psicologiche, politiche e quant’altro. C’è una vicenda che si svela nelle pagine del libro, con una serie di morti di vario tipo, dall’incidente in treno al suicidio presto rivelatosi farlocco, per proseguire con uccisioni autentiche. Un crescendo di fatti che creano già da soli la suspense, poi via via enfatizzata dai profili dei personaggi e dalle relazioni esistenti o assolutamente mancanti tra di loro.
Nelle diverse scene di questo affresco di morte in continuo cambiamento con ben giocati colpi di scena, c’è un elemento che fa sorgere interrogativi in serie: una figura ricorrente sulla scena dei diversi fatti di morte. Niente di esplicito e dettagliato; soltanto un elegante abito bianco (e che colore potrebbe avere sotto il cielo di Atene?) che spinge a farne il riferimento principale nelle supposizioni del lettore e nel lavoro di indagine narrate. Indagini che si sviluppano seguendo le riflessioni e l’azione del commissario Ghiorghos Bekas, determinato nel suo scavare, a volte anche in un apparente nulla.
Lesinare su quella che è la trama del romanzo non è soltanto timore di togliere piacere alla lettura (e il pericolo è forte). È anche una questione di coerenza con un’avvertenza che pare d’obbligo: quella di cercare di evitare, di leggere le note di presentazione del romanzo, anche sulla quarta di copertina. Semplicemente perché tali note contengono abbastanza da far diminuire le incertezze inerenti alla vicenda. Ovviamente non viene svelato l’epilogo della storia, ma nelle note viene fatto cenno a un elemento che, conoscendolo in anticipo, riduce la suspense. Vale a dire l’essenza di quello che è un “giallo”. Ciò perché la storia è avvincente come poche e narrata con maestria, in uno stile campione di asciuttezza ed essenzialità.
Dopo aver letto “Il tredicesimo passeggero” non vien difficile credere a quanto dichiarato dal suo connazionale Petros Markaris, giallista greco molto affermato non soltanto in Grecia, il quale ha avuto modo di dire che Marìs rappresenta il “patriarca del romanzo poliziesco greco” e che “se Marìs avesse scritto in francese avrebbe avuto successo e fama mondiale”. Tant’è.
Avvertenza di lettura a parte, le 180 pagine del libro si susseguono snocciolando fatti e accadimenti sempre più coinvolgenti e capaci di far nascere e crescere la curiosità per la spiegazione di tutto. Perno della narrazione è il commissario Bekas, poliziotto ateniese tanto pacioso nel suo essere quotidiano, quanto ostinato nelle indagini quando si convince che le cose non stanno come sembrano.
Come tutti i grandi investigatori (per lo meno di quelli “su carta”) anche Bekas ha un suo satellite: il giornalista Makris, per certi versi definibile come alter ego dell’autore, perché Ghiannis Marìs era lo pseudonimo letterario di Ghiannis Tsirimokos, appunto giornalista, lui sì impegnato nel sociale e nel politico. E nel “Tredicesimo passeggero” come nelle altre storie del commissario Bekas, Makris dà un contributo di intuito e ragionamento non piccolo al lavoro dell’amico poliziotto.
L’ambientazione è efficace, non perché faccia venire voglia di andare ad Atene (e ci mancherebbe che per voler visitare il luogo cuore della classicità ci fosse bisogno di una storia gialla) ma perché è chiara ed essenziale. Non crea i dubbi frequenti in tanti romanzi, di tutte le nazionalità, in cui l’indicazione di quartieri, strade, piazze eccetera è posta come se il lettore vivesse in quella data realtà, o per lo meno la conoscesse come le proprie tasche. Il commissario Bekas si fa seguire lasciando un po’ alla fantasia del lettore di costruirsi la propria Atene, senza che la narrazione perda alcunché. Perché l’importante è lo svilupparsi del racconto, senza una pagina di pausa, senza un aggettivo di troppo. Con un ritmo che rende la lettura più che gradevole.
Recensione di Franco Fiorucci.
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- Marìs, Ghiannis (Autore)