Intrighi, veleni, crollo dell’URSS e riciclo delle personalità più in vista e delle armi meno convenzionali, tra cui i veleni. Questo e molto altro è Il veleno perfetto di Sergej Lebedev, edito da Keller. Barman? Qui ci vuole una vodka liscia ben fredda ma… bicchiere sempre in vista, sia chiaro!
Sarà così che funziona una condanna a morte in absentia?, scherzava con sé stesso, percependo sulle labbra il gusto di assenzio di una morte procrastinata. Oppure è il corpo che si vendica per la nuova faccia creata dal chirurgo plastico, per il laser che ha eliminato vecchi nei e cicatrici? Magari ricorda tutto e vuole farmela pagare nella ricorrenza della mia fuga?
Il professor Kalitin, uno dei massimi esperti di chimica dell’ex URSS, è costretto a ricostruirsi un’identità dopo il crollo del Muro, trovando riparo in Germania. Il professore ha lasciato in patria un’eredità pesante: un veleno letale e irrintracciabile chiamato Neofite (nome in codice Il Debuttante), del quale è bene che nessuno in Occidente sappia alcunché.
Poi l’URSS era crollata, una forza sconosciuta aveva abbattuto l’edificio statale ritenuto fino ad allora incrollabile, e sotto le sue macerie era morta anche la produzione in serie del Debuttante. […]
Allorché le sue competenze e i suoi servigi erano stati rifiutati dai nemici di un tempo, non gli era rimasto che sperare nella restaurazione dell’URSS.
Ma nella baita in montagna dove vive appartato, affronta giorno per giorno la nuova vita con la consapevolezza che il proprio fascicolo “riservato” sia ancora conservato negli “uffici”. Questo risibile particolare cozza sia con tutte le cautele messe in campo dopo la fuga sia con la certezza che, se qualcosa andasse storto, prima o poi qualcuno verrà mandato a scovarlo per farlo tacere, sotterrando così per sempre il suo prezioso operato con lui.
Le paure del professore non sono frutto delle sue paranoie bensì della solida conoscenza di come gli Uffici lavorano ancora. Il Debuttante aveva mietuto una vittima in Germania e Loro avevano deciso: era giunto il momento di neutralizzare il veleno e il suo ideatore, per mano del Comandante Ŝersĕnev e il suo vice Grebenjuk, abili professionisti con le mani sporche di sangue ceceno.
Fantasticò sulle foto scattate da un drone. Una casa ai margini della foresta. Una strada deserta. Un posto ideale, facile. Niente vicini, eventuali testimoni, qualcuno che avrebbe potuto trovarlo. L’eremita si nascondeva in mezzo al nulla, preparandosi la trappola da solo.
La coppia di sicari si metterà in moto, subendo però pesantemente gli intralci del Destino che favorirà prima gli uno, poi l’altro, fino a condurli verso un epilogo che riporterà in equilibro i piatti della bilancia della Giustizia.
Il veleno perfetto è un romanzo potente, che tratteggia un mondo di finzione talmente verosimile da far venire la pelle d’oca.
Seguendo la parabola umana del professor Katilin in flashback, infatti, l’Autore enuclea tutti i temi fondanti di una spy story distopica, dove i luoghi sono indicati in maniera tanto generica (la Città, il Terzo Ingresso, l’Isola) da poter sembrare universali. Ma Lebedev, neanche tanto velatamente (il ché sa di miracoloso nel momento storico presente), ci porta in realtà nel cuore dell’URSS staliniana, descrivendocene via via la riorganizzazione post bellica, fino al completo dissolvimento.
Katilin, da bambino era un abitante della Città, assieme alla mamma, dottoressa, e al papà, chimico. Un giorno a scuola tutti cominciarono a piangere per la morte dell’uomo raffigurato nel ritratto appeso in aula. L’angoscia si impossessò del ragazzino, dato che aveva capito dai discorsi dei genitori che la stabilità nelle loro vite era assicurata dall’uomo con i baffi.
Al centro della scena era appeso il ritratto di un uomo con i baffi. Il ragazzino sapeva che la Città era stata creata per suo ordine diretto. Il ritratto aveva un nastro nero di traverso in un angolo.
Come sostituire un eroe così fantasmagorico? Fissando la propria attenzione bambina sullo zio Igor e la sua meravigliosa uniforme, ricolma di medaglie e mostrine dorate a forma di serpente e ciotola. Il bambino conosceva quelle insegne, anche suo padre era un chimico, ma lo zio Igor sembrava essere molto più potente. Studiare Chimica all’università e diventare bravo fu una necessità per entrare dal Terzo Ingresso dell’Istituto, quello a cui neanche il padre aveva mai avuto libero accesso.
Il Terzo Ingresso era una semplice porta di ferro con campanello, incassata in un blocco di mattoni senza finestre. Chissà come, tutti sapevano che conduceva dove conducevano gli altri due ingressi: nel perimetro interno dell’Istituto, una città nella Città. Davanti a questo ingresso le macchine non potevano sostare, arrivava immediatamente un vile. Accanto, nessuna costruzione più alta di due piani.
Dopo gli studi brillanti, Kalinin potrà lavorare nei laboratori dell’Isola dove raggiungerà la fama, creando Il Debuttante, il micidiale e irrintracciabile veleno che tanti anni dopo, il comandante Ŝersĕnev sarà incaricato di neutralizzare.
Ad un certo punto, sull’Isola era arrivata tutt’altra gente. I veri padroni. […] Ai tedeschi occorreva un sito segreto, lontano dai trionfatori di Versailles e da occhi di spie e delatori, per proseguire gli esperimenti con l’arma chimica, prepararsi a ricominciare daccapo la guerra persa. Ai russi invece servivano le formule, la tecnologia, i procedimenti. Là, presso il fiume, in una sorta di sgabuzzino dell’Europa, entrambe le parti avevano trovato ciò che volevano: un luogo appartato con un ricco paesaggio, sbalzi di clima, forti differenze di temperatura, per avere la possibilità di simulare l’utilizzo di varie sostanze in differenti teatri di guerra, nelle diverse stagioni.
Voglio concludere citando uno stralcio che trovo significativo rispetto alla circolarità della Storia, in relazione all’opportunismo degli uomini, che la rivestono di significante via via più consono alle proprie ideologie.
Mimetizzarsi tra i visitatori di un campo di sterminio in Germania, è funzionale a Ŝersĕnev prima dell’ultimo assalto alla casa di Kalinin e Lebedev coglie questa occasione per far redimere il suo personaggio che, da macchina militare sanguinaria, sembrerebbe acquisire coscienza della grande manipolazione subita, fino a farsi “inchiodare al muro” dalla verità di quella rivelazione improvvisa.
Ciò che era stato fatto lì, l’avevano compiuto dei malvagi contro i quali nell’infanzia aveva sognato di combattere. Ma adesso, osservando le torrette di legno ristrutturate e i volti pallidi nelle foto in bianco e nero, non poteva fare a meno di ricordare ciò che aveva visto di persona: le stesse torri di sorveglianza, le stesse celle strapiene di prigionieri, gli stessi volti in bianco e nero, sporchi, irsuti.
Sapeva che in questo caso si era trattato d’altro. Spiacevole, ma necessario. Dietro quel filo spinato non c’erano vittime ma nemici. Cionondimeno, la somiglianza visiva saltava talmente tanto agli occhi da inchiodarlo al muro.
Concludendo, Il veleno perfetto è uno dei romanzi che più mi ha colpito tra quelli che ho avuto la fortuna di leggere ultimamente e sono sicura che recensirò presto un altro lavoro di Sergej Lebedev, perché lo scrittore è destinato a ricoprire un posto autorevole nel panorama della letteratura europea, sia per i temi trattati sia per la vividezza e la scorrevolezza della prosa.
Who is who?
Sergej Lebedev è nato a Mosca nel 1981 e ha lavorato per sette anni in spedizioni geologiche nella Russia settentrionale e in Asia centrale. Lebedev è un poeta, saggista e giornalista. Oggi è una delle voci più importanti della nuova letteratura russa. Dello stesso Autore nel catalogo Keller troviamo Il confine dell’oblio, Gente d’Agosto e Nostalgia e autoritarismo. L’eredità tossica dell’Unione Sovietica.
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