È uscito lo scorso febbraio per Neri Pozza (con traduzione di Irena Trevisan) Il verdetto, l’ultimo romanzo di Graham Moore. È un Legal Thriller e vi preannuncio che è appassionante.

Los Angeles, 2019. L’avvocato penalista Maya Seale ha appena fatto una mossa decisiva che quasi certamente le farà vincere una causa, sta per andarsene dal tribunale quando, alle sue spalle, una voce inconfondibile pronuncia il suo nome. L’uomo che la cerca è molto diverso dal topo di biblioteca impacciato che aveva conosciuto dieci anni prima, ma non c’è dubbio, è Rick. La sta cercando per convincerla a partecipare ad una Docuserie Netflix che, in occasione del decennale del processo cui entrambi avevano partecipato come giurati, intende ripercorrerne le tappe. Tutti gli altri hanno accettato, si ritroveranno in quell’hotel, manca solo lei, la giurata più importante di tutti, Maya. Dieci anni prima, Jessica Silver, una quindicenne ereditiera, era scomparsa di ritorno da scuola. L’unico sospettato era Bobby Nock, il docente di inglese, ventiquattrenne e di colore, con cui la ragazza passava un po’ troppo tempo da sola. A giudicare la colpevolezza o non colpevolezza di Bobby furono dodici persone, dodici giurati popolari rinchiusi per cinque mesi nell’isolamento di un hotel. Non fu facile giungere al verdetto, ma Maya ebbe un ruolo chiave nella decisione. Ed ora, mentre a malincuore accetta di partecipare al programma, Maya non sa che ad attenderla c’è ancora un altro baratro. E quel che è peggio è che neanche il nero, enigmatico, ossessionato Rick lo sa.

Il verdetto è un Legal thriller molto ben scritto, con un livello di tensione e di colpi di scena sempre ben calibrato e con personaggi credibili. I temi chiave qui sono essenzialmente tre: il peso che il ruolo di giurato può avere nella vita di chi partecipa ad un processo che fa scalpore, la pericolosità dei media nonché l’importanza di saperli usare, e da ultimo il razzismo. Sì, inserisco solo all’ultimo posto questo tema così importante perché è il primo che balza agli occhi: è come se l’autore volesse costantemente ricordarci che stiamo parlando di quello, di bianchi e neri, così distoglie la nostra attenzione dal lavoro ai fianchi che fa con tutto il resto dei concetti importanti. Il risultato è che crediamo di aver letto un libro sul razzismo, ma alla fine ci accorgiamo che queste pagine ci hanno lasciato molto di più.

C’è poi una riflessione più profonda, ontologica, cui Moore vuol farci pervenire: spesso  si pensa di entrare in un’aula di tribunale per cercare la verità, ma solo a causa conclusa ci si rende conto che semmai ci fosse una verità da cercare, non sarà certo in quell’aula che la troveremo. Al più possiamo provare ad ottenere giustizia, che è cosa diversa dalla verità. E ce lo dice chiaramente anche Moore: “Nelle aule di tribunale di tutta la città, Maya aveva visto persone ottenere i verdetti sperati, e ne aveva viste altrettante ottenere il contrario. Ma i verdetti non avevano nulla a che vedere con la verità. Nessun verdetto aveva mai fatto cambiare idea a qualcuno. Le giurie non erano divinità. Le persone che entravano in quelle aule cercando una rivelazione divina ne uscivano portandosi dietro i frutti di una trattativa burocratica.” E, semmai il concetto non fosse chiaro, aggiunge:” Maya avrebbe voluto dire a Lou che quel bisogno di giustificarsi era diventato lo scopo di tutto il loro meschino paese. Ogni giorno le persone si svegliavano sperando ardentemente di leggere il titolo di prima pagina in grado di dimostrare una volta per tutte che chi stava dalla loro parte era virtuoso, mentre gli altri erano il peggio del peggio. Ma non riuscivano mai a trovare notizie così certe. Ogni nuova rivelazione che sembrava condannare chi non era d’accordo con loro era seguita da una nuova razionalizzazione. A fronte di ogni pronostico fallito, c’era una circostanza attenuante. Le persone si arroccavano nelle loro più fiacche convinzioni perché l’alternativa appariva insopportabile, e quelli dall’altra parte della barricata ne seguivano l’esempio. Avrebbe voluto dire a Lou che l’unica cosa peggiore di essere nel torto era avere un insaziabile bisogno di dimostrare di non esserlo mai stati”.

E allora, dati questi presupposti, come si può pensare di giudicare colpevole un uomo “oltre ogni ragionevole dubbio”? Se lo chiede Maya, se lo chiedono i giurati, ce lo chiediamo anche noi. Ma le scelte, le azioni, hanno conseguenze… tutte.

Nato a Chicago nel 1981, Graham Moore è sceneggiatore e scrittore. È noto al grande pubblico per i numerosi premi (tra cui l’Oscar nel 2015 alla miglior sceneggiatura non originale) collezionati da The imitation game. Come scrittore ha esordito nel 2010 con L’uomo che odiava Sherlock Holmes (Rizzoli 2012), poi per Neri Pozza è uscito il bellissimo Gli ultimi giorni della notte (2021) ed ora questo Il verdetto. Chi cerca una lettura avvincente e non disdegna il Legal Thriller potrà certamente apprezzarlo.

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Il verdetto
  • Moore, Graham (Autore)

Articolo protocollato da Rossella Lazzari

Lettrice compulsiva e pressoché onnivora, una laurea in un cassetto, il sogno di lavorare nell'editoria e magari, un giorno, di pubblicare. Amo la musica, le serate tra amici, mangiare e bere bene, cantare, le lingue straniere, i film impegnati e cervellotici, il confronto, la condivisione e tutto ciò che è comunicazione.

Rossella Lazzari ha scritto 168 articoli: