Rarefatto, intenso, poetico, teso, palpitante, originale. Ingrossare le schiere celesti dello scrittore francese Franck Bouysse, edito da Neri Pozza, merita tutti questi aggettivi positivi. Scopriamo insieme perché.
“L’Abbé Pierre era morto. Gus non avrebbe saputo dire perché la notizia lo sconvolse in quel modo. Eppure non l’aveva mai conosciuto quell’uomo, cattolico, oltretutto, mentre Gus era protestante. Ma senza conoscerne la ragione, era un po’ come se l’Abbé facesse parte della sua famiglia, e non era grande, la famiglia di Gus. Anzi, non ce l’aveva più, a parte Abel e Mars. Ma chi avrebbe potuto affermare che un vicino e un cane costituivano una vera famiglia? Eppure sempre meglio di niente.”
(pag. 13)
Gus ha oramai più di cinquant’anni e vive solo nella grande casa di famiglia, unico superstite di una serie di tragedie. E’ una fredda mattina di gennaio del 2007 quando decide di imbracciare la doppietta e andare a caccia di tordi nella campagna intorno alla fattoria, sulle montagne a nord di Pont-de-Montvert. Appostato sotto una grande quercia è pronto a tirare quando sente uno sparo lontano. Che il vecchio Abel, il suo vicino, abbia avuto la sua stessa idea? Ciò che paralizza Gus più del gelo mattutino sono l’urlo straziante e le grida che precedono il secondo e il terzo sparo. Quella mattina, la stessa della morte dell’Abbé Pierre, segnerà per Gus la fine del piccolo angolo di serenità nel quale si era rifugiato dopo tanti anni di tribolazioni personali e l’inizio del capitolo più terrificante della sua vita.
Ancora una volta sono stata colta dall’attrazione fatale per un libro, un vero colpo di fulmine generato dal titolo che occhieggiava dallo scaffale di una libreria immensa: Lettera B, Bouysse – Ingrossare le schiere celesti. L’istinto mi diceva che l’Autore dovesse avere più o meno la mia età, altrimenti non avrebbe usato quell’espressione, per così dire, desueta, ma nello stesso tempo ardita se riferita a un thriller. Chi mai sarebbe dovuto morire innocente per avere l’onore di essere accolto tra le schiere dei Santi? Era riferito forse alla figura del fondatore della comunità Emmaus, o a qualcun altro? Nutrivo molte aspettative su questo piccolo libricino marrone, ma non potevo ancora sapere quanto ampiamente si sarebbero realizzate.
Il primo impatto con il testo è stato subito positivo per la varietà dei temi trattati, tutti sapientemente declinati in chiave thriller: le relazioni familiari e le loro pesanti eredità psicologiche (“Con più tempo a disposizione, Gus avrebbe potuto trovare delle scusanti per suo padre. Quanto a sua madre, inutile provarci. L’idea migliore che avesse avuto in vita sua, era stata lasciare solo il figlio“); l’amicizia tra esseri solitari, umani o canidi che siano (“Mars lo faceva sentire importante, dava un certo senso alla sua esistenza e, così facendo, ridimensionava la sua solitudine“); il rapporto con la Natura e la religione (“La maggior parte della popolazione andava in chiesa, la domenica, di sicuro con la speranza di alleggerire un poco il proprio fardello. Il solo tesoro che avevano davanti agli occhi ogni giorno era anche l’immagine del loro calvario, la natura maestosa e subdola, simile a una donna fatale impossibile da dimenticare“).
In seguito, sono stata rapita dalla descrizione minuziosa delle azioni minime svolte dal solitario protagonista nella fattoria, che sottolineano l’isolamento nel quale il personaggio versa e dal quale può uscirne mentalmente sano solamente ripetendo compulsivamente determinati rituali. Inoltre, è innegabile come tali descrizioni aumentino la suspence, dilatando il tempo in cui sembra che nulla accada, per far deflagrare con più efficacia il colpo di scena.
Per certi versi, si potrebbero paragonare le atmosfere rarefatte di Bouysse a quelle consone a Belinda Bauer se non fosse che nei thriller della scrittrice inglese i personaggi sono stretti in una fitta rete familiare e sociale, mentre l’uso dell’ovattata nebbia delle Chevenne è indubbiamente più similare a quella di alcuni libri di Simenon, nei quali il protagonista si avvale della nebbia come diaframma verso la realtà umana che lo circonda.
Particolarmente apprezzabile, poi, la scelta di Bouysse di sottolineare l’isolamento sociale del protagonista, sviluppando la trama con tanta esiguità di comprimari. Gus e il vecchio Abel sono uomini solitari, ruvidi e per nulla versati alla socializzazione che, proprio perché tanto simili, si intendono alla perfezione (“Si direbbe che la terra pieghi gli uomini allo stesso modo e che finiamo tutti per assomigliarci”).
I due fattori di montagna rappresentano lo zoccolo duro della vita rurale francese, in una regione che ancora oggi si è mantenuta abbastanza incontaminata, regalando scenari magnifici e ritmi di vita rilassati.
Potrei dunque definire Ingrossare le schiere celesti l’elegia thriller di un mondo rurale che va scomparendo, un mondo pieno di dolore e fatica ma anche di rare bellezze.
Franck Bouysse per me è stato davvero una piacevole scoperta e mi auguro si riveli tale anche per i lettori di Thriller Café.
NotedellaRossa
“Era una giornata strana, di quelle che vi fanno abbandonare il luogo dove eravate seduti da sempre, che voi lo vogliate o meno.” (pag. 7)
SOTTOLINEATO perché… è un incipit davvero incisivo.
EPILOGO (pag. 173 e 174)
CASSATO perché… ritengo sia totalmente slegato dal corpo del romanzo, non risultando necessario e meno che mai efficace, dato che l’azione è già terminata alla fine del capitolo precedente, che si chiude esattamente con il titolo del libro come ultime parole.
Curiosità sul libro
Il romanzo di Bouysse è ambientato nelle Cevenne, una catena montuosa francese a sud del Massiccio Centrale, giù protagonista di un libro famoso. Intorno al 1870, infatti, Robert Louis Stevenson intraprese un viaggio a dorso di mulo proprio attraverso quelle montagne dal quale scaturì una sorta di diario dal titolo “Viaggio con un somaro nelle Cevenne”. La protagonista si chiamava Modestina, l’asina che lo accompagnò nell’impresa.
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- Bouysse, Franck (Autore)