Ventitré anni dopo Presunto Innocente, romanzo-manifesto del genere legal-thriller e grande successo editoriale, l’americano Scott Turow torna a raccontare Rusty Sabich e Tommy Molto e gli altri personaggi della sua opera precedente ne Innocente (2010), un sequel che pur non riuscendo a eguagliare il predecessore per profondità di contenuti e ricchezza stilistica e “giuridica”, intrattiene il lettore e lo sospinge a riflette voltando le pagine con tranquilla piacevolezza.
Molti anni dopo gli eventi di Presunto Innocente, Rusty Sabich ha abbandonato il ruolo in procura per diventare uno stimato giudice della Corte d’appello statale. Eppure il successo non lo rende felice. Il matrimonio con la moglie Barbara si trascina infatti stancamente sotto un velo d’apatia, mentre il rapporto col figlio Nat è guastato da segreti troppo a lungo taciuti e da un’atavica, perdurante, mancanza di comunicazione.
Ma il senso di fallimento, lo straniamento, la voglia di ribellione, acuiti a dismisura dalle improvvise avances della bella e risoluta Anna, sembrano niente al confronto di ciò che Rusty si ritrova ad affrontare la mattina in cui, al risveglio, scopre il cadavere della moglie distesa accanto a lui. Di fronte all’immane tragedia, però, inspiegabilmente, aspetta quasi un giorno prima di chiamare i soccorsi e avvertire la polizia e il figlio.
Perché?
Voleva forse cancellare tracce compromettenti?
Ne è convinto Tommy Molto, ora procuratore ad interim della Kindle County, e responsabile delle indagini. Eppure anch’egli esita. Il caso Polhemus, infatti, il famoso processo in cui Rusty fu accusato dell’omicidio della sua collega e amante, e poi prosciolto, è ancora una ferita aperta dentro Tommy; una sconfitta che ancora lo tormenta, alimentando al contempo paura e desiderio di vendetta.
Per motivi di trama, ma anche per altri, più sottili, sarebbe facile considerare Innocente come una sorta di remake del celebre predecessore; una copia, insomma, uscita dalla penna d’un autore a corto di idee. Eppure c’è di più. Eppure occorre discernimento per individuare i tratti d’un’operazione ardita che, pur non riuscendo fino in fondo, intende usare consapevolmente le similitudini d’intreccio per giungere però a conclusioni nuove, per certi versi inaspettate. Se infatti Presunto Innocente vive, tra le altre cose, sul lieve tepore che proviene dalla riconciliazione; qui protagonista è invece la rottura, la libertà che prorompe dal conflitto; meglio dal superamento, dalla sintesi del conflitto. Lo si capisce d’altronde, soprattutto, sul finale: in Presunto, infatti, il ritorno allo status quo, la cancellazione dell’Ingiustizia sembrano essere fin da subito l’obiettivo del protagonista, che combatte, certo, e vive, con tutto ciò che ne consegue, ma superata la difficoltà si ritrova scientemente uguale a se stesso. Non evolve, cioè, mai veramente.
Ebbene, Innocente ribalta questa prospettiva.
È un cambio di verso ancor più importante perché non può che riguardare in primis la poetica dell’Autore stesso e, in ultima analisi, il Senso d’un romanzo incredibilmente “simile” eppure incredibilmente “diverso” dal precedente.
In ventitré anni, Turow è maturato: lo stile è ancor più scorrevole, la scrittura più consapevole e misurata, per quanto, onestamente, meno originale. In una Kindle County che resta uguale a se stessa, sono allora i personaggi a evolvere, anche inaspettatamente. Ne esce un romanzo sul cambiamento, sul valore del conflitto come strumento di libertà. Nel solco di quest’esigenza, le quattro voci narranti (invece dell’unica de Presunto Innocente), Anna, Tommy, Nat e lo stesso Rusty divengono proiezioni del medesimo bisogno atavico, ch’è poi, in fin dei conti, quello dell’Autore stesso. In quest’ottica, conseguentemente, l’intreccio, questo sì, piuttosto banale, perde quasi del tutto il proprio valore, di fronte al racconto delle Emozioni di cui Turow si dimostra, ancora una volta, un maestro assoluto.
Recensione di Alessio Massaccesi.
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- Turow, Scott (Autore)