Oggi parliamo con Elisabetta Bucciarelli, autrice di “Ti voglio credere”, edito da Kowalski (Colorado noir), conosciuta non solo per i suoi straordinari romanzi, ma anche perché da anni porta avanti un laboratorio di scrittura, nel quale insegna come usare le parole rendendole arte. Qui al Thriller Café avevamo già presentato “Io ti perdono”, e abbiamo ritrovato la protagonista, l’ispettore Maria Dolores Vergani, che in questa nuova avventura è agli arresti domiciliari perché indagata per omicidio… colpevole o innocente? Leggete il libro e ne scoprirete delle belle.
D: Romanzo introspettivo “Ti voglio credere”, concorda?
R: Penso sia una definizione molto vecchia. Qualunque romanzo, anche il più superficiale, parla di mondi inconsci. La differenza è il modo più o meno approssimativo (o inutile) che si decide di utilizzare per portarli alla luce.
D: Concordiamo anche se con il termine “introspettivo” volevamo solo sottolineare lo “spessore” dello scritto… La realtà all’interno del romanzo è quella che sembra?
R: Il romanzo vive di una sua “realtà” e di una particolare “verità” che è fatta di pura finzione. La sfida è rintracciare gli elementi “assoluti”, quelli decisamente “oggettivi”, all’interno della narrazione. Nei miei libri non prometto soluzioni facili a questo tipo di indagine, quindi spesso il lettore vede cose che io non so e che riguardano solo il suo preciso angolo di visuale.
D: Un’altra protagonista donna, va di moda?
R: Direi che da molto tempo vanno di moda i protagonisti uomini. Sono molto contenta che finalmente si raccontino anche le donne. Per quanto riguarda la mia scelta è avvenuta molto tempo fa. Quando le donne protagoniste (in Italia) erano al massimo tre. Due delle quali raccontate dagli uomini (in modo molto maschile…)
D: Quanto le somiglia Maria Dolores Vergani?
R: E’ nata per antagonismo. Quello che non sono capace di fare. Che non ho mai osato o che mi è stato impossibile fare. Man mano che passano i libri, lei muta, migliora e si ammorbidisce. A me pare di fare l’esatto contrario.
D: Quanto le indagini su di un delitto possono portare a un risvolto religioso?
R: Non saprei in generale. Nel caso di “Ti voglio credere”, la mistica, la tensione morale, la ricerca di una risposta “altra” e “alta” che sciolga i nodi più stretti, le domande importanti (Si può perdonare? Esiste la verità?), è decisamente fondamentale. Ma la soluzione non è data.
D: Ha firmato diverse sceneggiature, pensa che sceneggerà un film su questo romanzo?
R: Di mia spontanea volontà credo di no. Ho altre storie nuove che devo raccontare prima di tornare su quelle già scritte.
D: Quali caratteristiche deve avere un film tratto da un romanzo, spesso la trasposizione risulta difficoltosa…
R: Qualche tempo fa avrei dato una risposta, legata agli aspetti più visivi dello script. Adesso invece, mi pare di osservare una certa anarchia (a volte positiva altre volte meno) di linguaggi e trasposizioni. In generale direi che storie esili e superficiali, possono avere risultati eccellenti e quasi migliori di quelle più intense. Questo perché la pagina ha uno spessore differente, un tempo prolungato e un immaginario che dipende dal singolo lettore e non dalla mente di un solo regista (spesso anche sceneggiatore/regista).
D: Chi vedrebbe per continuare con il gioco, come attrice nella parte della Vergani ?
R: Stefania Rocca, Valeria Golino, Francesca Neri, mi sembrano belle e versatili, non aggressive e soprattutto non ordinarie.
D: Ci si innamora sempre delle persone sbagliate?
R: No, a volte può capitare di innamorarsi della persona che abbiamo sempre desiderato amare. Ci facciamo troppe domande su questo argomento, mettiamo Psiche e Amore troppo vicini. Abbiamo abdicato a una mente sempre presente, che non tramonta mai.
D: Le piace la notte?
R: Sì. Molto. Quando è buia e non è chiassosa. Mi fa anche paura, però.
D: Un film che consiglierebbe a un amico?
R: Dovrei conoscerlo bene per potergli consigliare un film. Ultimamente sto riguardando Wenders.
D: Milano si presta bene per ambientare un romanzo noir?
R: Forse una volta. Adesso credo sia più adatta per un trattato di urbanistica e architettura (che sia tassativamente mal scritto).
D: Nel romanzo tocca il problema dell’anoressia, cosa ne pensa di questa malattia?
R: Penso che ne possano parlare solo le persone che l’hanno provata sulla propria pelle. Che le responsabilità siano da cercare all’interno dei legami familiari e che non è una pandemia come l’influenza. Un protocollo di cura è assolutamente inutile. Direi che è una delle patologie più individualiste che esistano. Siamo tutti diversi e unici. E ognuno soffre a suo modo.
D: Chi pensa leggerà il suo romanzo?
R: Sto ricevendo molte mail e lettere dai lettori dei miei libri. Sto imparando a conoscerli. Mi stupisco e mi ritrovo come sensibilità e attitudine verso la vita, con molti di loro. Ma non ho fantasie a priori.
D: Ci fa un bel saluto per gli amici di Thriller cafè?
R: Adoro Thriller Cafè! Mi ha premiata due volte. Con “Femmina de Luxe” e con “Io ti perdono” (insieme a Carrisi). E’ uno dei siti web a cui sono più legata. Quindi il mio saluto ai lettori e ai collaboratori (e alla mente ideatrice, Giuseppe!) è particolarmente intenso.
Grazie per il tempo che ci ha dedicato e per la piacevole lettura che ci ha regalato con “Ti voglio credere”.
Grazie a voi per il tempo e l’attenzione.
(foto: Fabrizio Galli)
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