Intervistiamo oggi Francesca Bertuzzi, che all’esordio con il suo Il carnefice (Newton & Compton), sta riscuotendo un ottimo successo di vendite e critiche.
[D]: Francesca Bertuzzi, all’improvviso fai irruzione nel panorama letterario con una forza deflagrante e inaspettata. Il tuo “Il carnefice” sta andando benissimo, ma tu chi sei? Fatti conoscere. Presentati ai lettori di Thriller Cafè.
[R]: Sì, può darsi che sia spuntata fuori un pochino dal nulla, non avevo mai provato a pubblicare racconti, o articoli, o altro che anticipasse il libro… Però sono anni che punto tutto sulla scrittura. Certo questo gli altri non lo sanno e mi diverto molto a immaginare i grandi nomi in classifica girarsi e vedermi nella colonnina con loro chiedendosi con aria basita “E questa chi è?”. Per il resto sono una grandissima amate del noir, thriller, horror… e tutto ciò che fa mozzare il fiato in gola.
[D]: Com’è nato Il carnefice?
[R]: È nato in una torrida estate passata in Svizzera a leggere noir in un rifugio in mezzo ai boschi, e una mattina mi sono svegliata con l’idea di base del libro… poi, mano a mano che andavo avanti a scrivere la storia, i personaggi hanno preso sempre più corpo, in particolare quello di Danny, la protagonista. Insieme a lei è venuta fuori l’idea di caratterizzarla con lo spirito di una ragazza pronta a tutto pur di non essere una vittima. Intorno a questa colonna vertebrale si è sviluppato il resto della storia.
[D]: In quanto tempo hai scritto il libro?
[R]: Al libro ho pensato a lungo prima di scriverlo, soprattutto perché mi ci volevo dedicare totalmente e quindi era sorto il problema di avere a disposizione un periodo da dedicare unicamente alla scrittura. Ho risparmiato per un paio d’anni, poi, una volta avuti i soldi da parte, potevo permettermi due mesi. E in quei due mesi l’ho scritto.
[D]: Da dove hai preso l’ispirazione e perché hai ambientato la storia in un piccolo paese della provincia italiana?
[R]: L’ispirazione mi è venuta da un certo genere di letteratura e di cinema che mi appassiona e diverte… e negli anni, più sviluppavo questa passione, più le descrizioni di un certo tipo d’America, il Texas in particolare, mi ricordavano i luoghi dai quale proviene la mia famiglia. San Buono è il paese natale dei miei nonni, dove ho passato le estati della mia infanzia, e le polveri secche, i fucili da caccia, la schiettezza delle persone mi sono sembrati elementi perfetti per accostare l’Italia al Texas. Poi mi è piaciuto molto dare a Danny i connotati di quello che ho conosciuto dello spirito abruzzese: fierezza, schiettezza e testardaggine.
[D]: Il tuo personaggio principale è una donna africana, giovane, bella e concreta. Come mai hai scelto una protagonista di colore?
[R]: Da sempre, uno dei temi che mi crea più conflitto è quello dell’infanzia negata, e mi è sembrato che l’Africa centrale rappresentasse bene questo genere di sopruso… Luoghi in cui l’aspettativa di vita è sui 33 anni e l’iniziazione dei bambini ai gruppi dei guerriglieri è all’ordine del giorno. Danny doveva essere una specie di rivincita contro un certo tipo di ingiustizia.
[D]: A quale dei personaggi del libro sei più affezionata? E c’è qualcuno in particolare che ti somiglia?
[R]: Danny è la protagonista e non può che essere lei la mia preferita. È anche quella a cui ho dato di più di mio, condivido con lei anche il cane, Huan infatti è il mio amatissimo molosso. Poi in ogni personaggio c’è qualcosa che mi appartiene o che appartiene ai miei amici più cari…
[D]: Cosa ti è piaciuto di più quando hai riletto il romanzo?
[R]: Il capitolo in cui scappano dall’Africa è quello che preferisco.
[D]: Ho visto che alla fine del libro hai una lista di persone che ringrazi sentitamente. Qual è stato il miglior consiglio che hai avuto mentre scrivevi il romanzo?
[R]: Be’, durante la stesura della prima bozza del romanzo ho avuto accanto Marcello Bernardi, che leggeva capitolo dopo capitolo, e con cui parlavo spesso degli sviluppi della trama. Mi ha dato talmente tanti consigli che non saprei dire quale sia il migliore.
[D]: Continuo l’intervista facendoti le stesse domande che ci sono nella quarta di copertina de Il Carnefice… allora: Quanto pagheresti per avere una risposta alle tue domande più inconfessabili?
[R]: Le domande che ci sono sul retro del libro me le ponevo anch’io mentre scrivevo il romanzo… Mi piace pensare che sarei in grado di pagare il prezzo che richiede la verità.
[D]: Hai qualche fantasma che ti tormenta?
[R]: C’è qualcuno che non ne ha?
[D]: Cosa saresti disposta a fare per salvare chi ami?
[R]: E anche qui mi piace pensare che se ce ne dovesse essere bisogno sarei disposta a tutto.
[D]: Nel libro ci regali una breve storia, mi riferisco a quella di Buon Natale e un episodio di vita nostalgica e familiare (le due sorelle che giocano nella tinozza) che indubbiamente mostrano la tua vena di narratore intimista, con uno scavo psicologico considerevole a tutto beneficio della conoscenza dei personaggi e nella trama stessa. Hai mai pensato di scrivere un romanzo intimista? Io te lo consiglio.
[R]: Io sono un’appassionata di genere e mi sono divertita molto a scrivere Il Carnefice, però credo che se mi dovesse capitare di pensare a una storia che necessiti di essere declinata in uno stile più intimista proverei…
[D]: Scriverai altri Thriller?
[R]: Il prossimo, l’ho già in mente… Un’altra ragazza da cacciare in una brutta situazione.
[D]: Cosa c’è nel futuro di Francesca Bertuzzi?
[R]: Questo non lo so, però so di certo che cercherò di far diventare la scrittura il mio unico lavoro.
[D]: Fatti una domanda e datti una risposa.
[R]: Sei felice? Mai stata così felice!!!
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