Abbiamo recensito lo scorso settembre “Una mattina come questa” di Lorenzo Scano; oggi pubblichiamo una breve intervista in cui ci racconta del romanzo e di molto altro.
Buona lettura.

[DD] Nei tuoi romanzi il genius loci è senza dubbio Cagliari, la tua città, una vera e propria entità di cui si percepisce la presenza in ogni pagina. E anche la sua periferia, in cui tu sei nato e cresciuto, appare in una dimensione differente, come separata dal resto dell’Italia peninsulare non solo geograficamente. In cosa è discordante Cagliari rispetto al panorama metropolitano nazionale?
[LS] Sembra paradossale, perché ha 160.000 abitanti, ma Cagliari è più di tante altre una città metropolitana vera e propria, con i problemi, anche microcriminali, di una città metropolitana vera e propria. E’ l’unica delle 14 città metropolitane italiane, infatti, nata non ricalcando i confini della vecchia provincia, ma dall’accorpamento dei soli Comuni a essa conurbati. Gli abitanti, di fatto, sono quasi mezzo milione, distribuiti in una superficie grande quanto l’area del Comune di Roma. Da questo punto di vista, per quanto possa sembrare strano, l’hinterland cagliaritano è più simile a quello di Milano che non di un’altra città di mare come Genova o Salerno.

[DD] Nel tuo precedente romanzo i protagonisti sono in età adolescenziale. Adesso si sono fatti adulti. Questo si può leggere anche come una sorta di tuo passaggio a una nuova fase esistenziale e letteraria?
[LS] Sì, certo, non mi entusiasmava l’idea di riprendere gli stessi personaggi “qualche anno più tardi”, volevo un trio di protagonisti tutto nuovo, e non ho fatto che a ispirarmi ad alcune mie esperienze di vita e alle esperienze di vita di alcuni miei strettissimi amici per tratteggiare Nanni, Bebbo e Ricky.

[DD] In “Una mattina come questa” emerge il disagio delle periferie, la sopravvivenza quotidiana fatta di sotterfugi, di soldi facili e di piccola, grande criminalità; tutto ciò contraddistinto da un linguaggio spesso crudo e aspro, sia nei dialoghi che nelle descrizioni. Che ruolo gioca la parola in una tua storia?
[LS] In questi miei due primi romanzi, Una mattina come questa e il precedente Via libera (Nero Rizzoli, 2021) direi che la parola è tutto. Non sono romanzi di indagine né di suspense né azione. Sono romanzi giocati sull’atmosfera – quella della strada, delle piazze, dei bar, dei locali della movida – e sull’esplorazione di un contesto geografico e sociale preciso. Ecco perché l’utilizzo del dialetto e dello slang e gli innesti spero riusciti tra italiano, sardo e gergo cagliaritano.

[DD] Nelle tue trame emerge con forza il fatto che lo Stato faccia ben poco per migliorare le condizioni di vita nelle periferie. Anzi, sembra quasi del tutto assente, come se le periferie fossero, letteralmente, bassifondi, luoghi quasi mitici e per questo irraggiungibili. Traspare molto pessimismo, in alcuni tratti si respira quasi disfattismo, come se nascere in certi posti fosse una condanna vita natural durante. Ma c’è anche tenacia, perseveranza, e soprattutto tanta speranza. Secondo te, in certi contesti, l’illegalità diventa pressoché l’unico modo per sopravvivere oppure esiste sempre una via d’uscita, una redenzione che in primis parte da noi stessi?
[LS] Sarò lapidario: si può sempre scegliere il bene.

[DD] In quale dei tre coprotagonisti, Nanni, Bebbo e Ricky, ti rivedi maggiormente e perché?
[LS] Ricky, ovviamente, anche perché è chiaro che rappresenta una sorta di mio alter ego, per quanto istrionico e romanzato, sia chiaro. Alcune delle vicende che lo riguardano però sono autobiografia pura, purissima.

[DD] Quali sono i tuoi scrittori preferiti? Ce n’è uno che ti ha ispirato, o che ti ispira, particolarmente?
[LS] Il mio preferito in assoluto è Ed McBain, l’inventore dell’87mo Distretto e dell’avvocato Matthew Hope, che non mi stanco mai di leggere e di rileggere, anche tre, quattro suoi libri di fila. McBain ha creato un universo narrativo che ha influenzato la letteratura, il cinema e la televisione di genere giallo più di chiunque altro, e senza le sue storie, i suoi personaggi e le sue atmosfere non sarebbero fiorite le opere di centinaia di altri scrittori e cineasti.

[DD] Uno scrittore americano ha detto: Scrivere, a volte, è come fare l’amore. Altre, è come avere un fastidioso mal di denti. La maggior parte delle volte, però, è come fare l’amore con un fastidioso mal di denti. L’ho trovata estremamente calzante. Qual è la tua personale definizione di scrivere?
[LS] Per me, invece, è come fare a pugni: con la storia, coi personaggi, con la pagina che deve essere scritta, ma, soprattutto, con le nostre ambizioni e con i nostri sogni di gloria.

[DD] Com’è il mondo dell’editoria, oggi? Per un aspirante scrittore è così difficile farsi pubblicare?
[LS] No, non penso sia difficile farsi pubblicare, se si è quantomeno bravini. E’ difficile rimanere a galla nello sterminato e inospitale oceano editoriale, semmai.

[DD] Lo so che è un po’ come chiedere l’inizio dell’universo, ma cosa ti ha dato l’impulso decisivo a scrivere storie? Qual è stata l’esigenza interiore, la spinta emotiva, la scintilla che covavi dentro come brace sotto la cenere? In sostanza, qual è l’istante in cui nasce il Lorenzo Scano scrittore?
[LS] Semplicemente ero un bambino che non faceva altro che leggere – libri, fumetti, le riviste di cinema di mia madre – e intorno ai nove, dieci anni, in maniera del tutto consequenziale, mi sono ritrovato con una penna in mano, un foglio strappato da un quaderno di scuola e una storia su un mostro che mangiava i bambini nel lago vicino a casa.

[DD] Che consiglio daresti a una persona che ha il sogno di scrivere, di far sentire la propria voce, ma non trova il coraggio di aprire il cassetto in cui lo custodisce gelosamente?
[LS] Di cambiare aspirante mestiere (Si scherza…)

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Una mattina come questa
  • Scano, Lorenzo (Autore)

Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 55 articoli: