A distanza di due mesi dall’uscita del suo più recente romanzo, Una favolosa estate di morte, siamo lieti di ospitare virtualmente Piera Carlomagno qui al Thriller Café. Partiamo subito con le domande.
[D]: Ciao Piera, benvenuta al Thriller Café. Domanda iniziale: Vivi e lavori a Salerno, però hai deciso di ambientare questo romanzo in Lucania. Com’è avvenuto il contatto con questa terra che mostri di conoscere profondamente? Cosa ti ha spinta verso questa scelta?
[R]: Era già qualche tempo che sentivo il bisogno di raccontare l’altra parte di me, quella più dura, aspra e nello stesso tempo chiusa in difesa. Ho scritto prima un altro romanzo, ancora non concluso e non giallo, ambientato in Basilicata e ispirato alle mie due famiglie di origine. Io sono di origini lucane. I miei genitori e tutti i miei parenti sono lucani. Sono nata a Salerno e ho vissuto tra Salerno e Napoli. Ecco perché la mia prima serie gialla è ambientata a Napoli e in Campania. In me però convivono due nature opposte: quella aperta e gioviale dei campani e quella introversa e più diffidente dei lucani.
[D]: E com’è stato accolto il romanzo dai lettori lucani?
[R]: Molto bene devo dire e avevo dei timori. E’ normale che sia così. Se ci fossero state incongruenze o errori di interpretazione, sarebbero stati loro i primi a scoprirli. Invece ho ricevuto recensioni lusinghiere e le presentazioni a Matera e Pisticci, che sono i due luoghi in cui il romanzo è ambientato, sono state importanti e ufficiali. A Matera ho presentato alla Fondazione Sassi, con il presidente Vincenzo Santochirico, il direttore della Lucana Film Commission Paride Leporace e la giornalista che è stata per anni direttore del Quotidiano di Basilicata a Potenza, Lucia Serino. Mi sono presentata come davanti a un plotone d’esecuzione. A Pisticci c’era il sindaco Viviana Verri e il professore Giuseppe Coniglio. Meglio di così… Tutti loro hanno apprezzato il racconto del territorio e anche la trama gialla, che scava nell’attualità di quella regione. Direi che la prova è stata brillantemente superata.
[D]: C’è, in tutto il romanzo, una carica di energia misteriosa ed avvolgente che viene dai personaggi femminili. Non solo la protagonista, ma tutte le donne in questa storia hanno un qualcosa in più, un animo sfaccettato che le rende peculiari. Non c’è, per contro, un personaggio maschile di eguale potenza. E’ qualcosa di voluto?
[R]: Le donne hanno personalità più complesse, amo raccontarle. Le donne di Basilicata hanno una vita più difficile delle altre, vivono in un ambiente ancora più chiuso, legato alle tradizioni, così finiscono per restare immobili oppure sono ribelli, a volte in maniera estrema. Tuttavia conoscono la fatica e spesso conducono loro il gioco, pur se all’ombra degli uomini.
[D]: Veniamo al personaggio chiave del romanzo: Viola Guarino, patologa, donna, un po’ strega, intraprendente, dinamica, empatica. Di sicuro il ritratto che ne hai tracciato la rende originale e fuori dagli schemi, ma c’è un personaggio – reale o letterario – al quale ti sei ispirata per plasmare la sua protagonista?
[R]: Viola è nata dalla mia fantasia, dalla voglia di raccontare il territorio anche facendolo incarnare in uno dei personaggi della storia. Doveva avere tanto di tutto, perché non è vero che ciò non sia possibile. Lei ha l’orgoglio della solitudine, il tormento della spiritualità, la massima professionalità, l’animo scisso, tanta sensualità, capacità di disturbare, di destabilizzare, come i sassi, come i calanchi, è bella, è strega, è dottoressa, donna del passato e del futuro. C’è però una donna, non della letteratura, ma reale – ed è la prima volta che lo dico – che si è affacciata nella mia mente mentre già stavo scrivendo, tanto che c’è un omaggio a lei nascosto nelle pieghe della storia, ed è Cristina Cattaneo, medico legale famosissima. Viola la pensa come lei sui vivi e i morti. Ma non l’ho studiata ovviamente la Cattaneo, mi sono limitata a registrare ricordi, frasi sue che mi avevano colpito, quando ha raccontato, in qualche intervista, la sua vita tra i resti.
[D]: Come certamente i lettori più attenti avranno compreso, il tuo romanzo ha una fortissima connotazione territoriale: tutto, dai luoghi, ai personaggi, al cibo, alla ritualità, alle superstizioni rimanda alla terra, sia intesa in senso figurato, in riferimento alla Lucania, sia fisico, con riferimento ai campi, ai calanchi, alla maggiore fonte di sostentamento per la popolazione. Come definiresti, in sintesi, la Lucanità?
[R]: Uno stato d’animo sospeso, come affacciato sul baratro dei calanchi, un atavismo permanente e senza sorpresa, ma un equilibrio straordinario, che solo la forza dei piedi ben piantati per terra permette di mantenere .
[D]: In relazione a questa cultura, a quest’attitudine, Viola e Floriana (una delle vittime) sono spiriti liberi. Perché, secondo te, risultano così indigeste?
[R]: Proprio per questa caratteristica, che le rende destabilizzanti. Sono due donne che non si rassegnano a rimanere invisibili e sono sempre protese in avanti, percorrono ogni strada si pari loro dinanzi, alla ricerca di aria, ma anche di verità.
[D]: Da dove viene l’idea del quadro “Gli amanti di Tinchi”?
[R]: In uno dei miei soggiorni a Matera, mentre scrivevo, andai a vedere Lucania 61, il quadro di Carlo Levi. Sedetti un’ora più o meno a guardarlo, come mi era successo a Madrid con il Guernica di Picasso. Mi succede, come in letteratura con le storie corali, di incantarmi davanti ai quadri con tante figure, che raccontano tante storie. Mi è venuto in mente anche un quadro raffigurante delle persone che bruciano tra le fiamme dell’inferno. Era in un ristorante dove i miei genitori amavano trascorrere la sera del loro anniversario di matrimonio quando io ero bambina. Di notte avevo gli incubi dopo. E infine un artista salernitano, Mario Carotenuto, morto da poco, e un quadro che ha regalato all’ordine dei medici di Salerno, in cui si ricordano i medici e i pazienti della scuola medica salernitana, nel Medio Evo. Tutti questi dipinti sono di notevoli dimensioni. Ecco, ho pensato a tutto questo quando ho inventato il quadro.
[D]: Ed ora il personaggio maschile: Loris Ferrara, procuratore napoletano, schivo e sfuggente… un po’ bel tenebroso… cosa ci puoi dire di lui? E’ il forestiero della situazione…
[R]: Viene da Napoli o meglio da Torre del Greco e nota la differenza tra le due terre, tra i due popoli. E’ il magistrato di cui fidarsi, anche se ha limiti caratteriali che a volte lo allontanano dall’obiettivo. Ho pensato anche all’uomo, ho cercato di costruirne uno capace di piacermi, resistermi, farmi perdere l’equilibrio.
[D]: A un certo punto, nel testo, evidenzio – proprio per bocca di Ferrara – una differenza di approccio al delitto tra Matera e Napoli che descrivi come città dalle attitudini opposte. Cosa ti ha indotta a questo paragone così singolare?
[R]: Il fatto che prima scrivevo di Napoli e per tanto tempo avevo creduto che non avrei più cambiato il luogo di ambientazione dei miei romanzi. Poi questo è avvenuto e ho capito che dovevo inventare una storia completamente diversa dalle precedenti, perché Napoli e Matera sono il giorno e la notte. Lo scrivo in un passaggio: Napoli è tutta fuori, Matera è tutta dentro.
[D]: Una domanda sul tempo del racconto. Come già si può desumere dal titolo, la vicenda si svolge in estate, in poco meno di un mese, tra l’inizio di giugno e l’inizio di luglio. Dal libro qualcosa si intuisce, ma giochiamo a incuriosire chi non l’ha ancora letto e non sa cosa si perde: c’è una ragione specifica per cui hai scelto proprio questo periodo?
[R]: Non so quanto lo abbia fatto di proposito all’inizio. Di certo l’estate è la stagione che mi piace di più, per una vacanza come per un delitto. La storia è veloce perché sempre gli assassini si scoprono in fretta o non si scoprono più. Il ritrovamento dei cadaveri avviene nella notte della luna rosa di giugno e quello del colpevole il giorno della festa della madonna della Bruna, il famoso 2 luglio di Matera. E’ una questione musicale, un ritmo che cresce, il finale è con i fuochi d’artificio davvero, quelli della festa intendo.
[D]: Sin dalla pubblicazione, Una favolosa estate di morte è stato presentato in molti luoghi, inclusi quelli in cui è ambientato. Cosa porterai con te di queste presentazioni?
[R]: Tutto quello che mi hanno fatto notare i bravissimi relatori, le diverse interpretazioni del mio romanzo, le voci di chi ha letto i brani, il calore del pubblico, qualche festa, l’affetto degli amici che ho ritrovato, l’ospitalità e la bellezza dei posti che ho potuto così visitare o rivedere.
[D]: C’è stato, invece, un autore che ti ha fatto piacere presentare?
[R]: Tanti negli ultimi anni, non li nomino, non voglio far torto a nessuno, ma ogni volta è un’emozione, ho un grande senso di responsabilità nei loro confronti. Alla fine, se non vendono tanti libri dopo la presentazione, mi prendo tutta la colpa.
[D]: Non so se a parlare sia la voglia di ritrovare ancora Viola Guarino, ma mi spingerei a dire che il libro si presta a dar vita a una serie o, quantomeno, a un seguito. Ci hai pensato? Domanda scontata, ma pratica: ci sono altri romanzi in cantiere?
[R]: Io lo spero davvero. La vicenda gialla di questa favolosa estate di morte, il crime, si chiude. Ma Viola ha ancora una storia lunga davanti. Io ho già tutto in mente e, in gran segreto, ho anche cominciato a scrivere. Però dobbiamo aspettare un po’ per saperlo.
[D]: Un’ultima domanda più personale: prima che di scrittrice, qual è stata la tua esperienza, la tua carriera di lettrice di gialli? Quali letture, negli anni, ti hanno accompagnata verso la scrittura di un ottimo Noir mediterraneo? Quanto ha influito, invece, il tuo lavoro di giornalista?
[R]: Ha influito tantissimo il lavoro di giornalista. Io ero una cronista di giudiziaria e la maggior parte della mia vita si svolgeva nei tribunali, nelle procure, nelle questure, nei comandi dei carabinieri, negli studi degli avvocati, oppure sulla strada, quando succedevano fatti di nera, prima ancora che in redazione. Lì ci arrivavo in ultimo, la sera, e scrivevo. Leggevo invece di tutto, non solo gialli. Ho avvertito l’influenza di Simenon certamente. Gli appostamenti di Maigret nei bistrot, davanti a un calvados, mi hanno folgorato.
[D]: Bene, perdona le tante domande, ma lo sai e lo descrivi bene nel libro, le donne del Sud sono molto curiose!
Ti ringraziamo per la tua disponibilità e speriamo di incontrarti ancora qui al Thriller Café o in qualche presentazione. Inutile dire che attendiamo presto un nuovo romanzo!
[R]: Grazie a voi! Tante domande davvero, ma molto interessanti. A presto, lo spero anch’io.
Intervista a cura di Rossella Lazzari.
Foto tratta da https://www.infocilento.it/2018/03/21/festival-del-libro-dautore-a-capaccio-paestum/
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