Quella descritta tra le pagine del romanzo “La ballata della Mama Nera”, edito da Avagliano, è una società matriarcale fondata sulla guida spirituale e materiale delle donne, ecco che la Mama Nera nella sua figura enigmatica e impenetrabile, si fa portavoce della cultura rom. Durante il ritrovamento del corpo di un bambino cui fa seguito una lettera anonima, vi sarà il pretesto da parte delle persone così dette “per bene”, di puntare il dito proprio all’interno di un gruppo di diversa etnia. A indagare sul caso il poliziotto Cellini, personaggio dedito all’utilizzo delle mani più che al cervello, poco incline alle dimostrazioni d’affetto anche in ambito familiare, un’insoddisfazione, la sua, che si riflette però in una più generale di chi è straniero e di chi, pur essendo a casa propria, guarda l’altro con sospetto. Roberta Lepri ci ha concesso una piacevole chiacchierata per riflettere insieme su alcune dinamiche che caratterizzano la nostra società e i luoghi comuni che troppo spesso possono danneggiare l’altro senza dare prima il privilegio del dubbio, il tutto sempre senza trascurare il lato noir del romanzo.
[D] Perché un thriller con veste multietnica?
[R] Alla base di ogni romanzo ci deve essere sempre un’idea portante, l’emarginazione ne “La ballata della Mama Nera” porta avanti due filoni, uno all’interno della famiglia, vissuto come disagio nell’ambito della stessa, e l’altro nei confronti dei rom. Mi è piaciuto sviluppare diversi piani di lettura e toccare il tema del disagio come significato di ciò che non conosciamo.
[D] E’ un romanzo molto attuale per le tematiche che affronta…
[R] In effetti lo è, anche se a dire il vero il romanzo l’ho scritto tre anni fa e al tempo non era così forte l’attenzione dei mass-media nei confronti dei rom, l’uscita del romanzo è concisa con questa impennata.
[D] Quali sono gli elementi più importanti in un romanzo thriller?
[R] Ce ne sono tanti perché è come un cocktail. E’ importante lo scavo psicologico dei personaggi, non bisogna essere frettolosi, ognuno merita attenzione e poi c’è il fattore sorpresa che non è da trascurare. Per esempio vediamo il poliziotto comunista che malmena lo zingaro, ma che questi poi si adopera nel segno della legalità per difendere la comunità in cui vive. Ci vuole alchimia, l’amore di raccontare una storia e poi mi piace costruirla con fare cinematografico, staccando l’attenzione dalla scena al momento giusto.
[D] Perché ha deciso di seguire la strada del noir?
[R] Ho scritto molti racconti, anche noir storici, ma ora ho pronto un romanzo che non è noir perché non mi piace essere etichettata in un solo genere. La differenza però è sottile.
[D] In una storia thriller, è più difficile costruire il personaggio del colpevole o dare un falso indizio per confondere il lettore?
[R] Sono tutte e due cose da tenere ben presenti, anche se esiste una sfida con il lettore, nascondere il colpevole non deve essere l’elemento principale altrimenti si diventa degli architetti, preferisco farmi prendere dai personaggi e raccontare la realtà per quella che è. Anche se ritengo importante sfatare il luogo comune. Il giallo è una sfida da giocare sul piano morale, richiede un’indagine e costruzione ma non mi piacciono le cose troppo studiate.
[D] Si è fatta ispirare da qualche grande maestro del noir?
[R] Sì, George Simenon per esempio, descrive molto bene i suoi personaggi e riesce a creare delle suggestioni sempre diverse, adoro il commissario Maigret e le sue vicende.
[D] Ci sarà un seguito delle indagini del poliziotto Cellini?
[R] No, me lo hanno già chiesto. Credo di aver detto già tutto… e mi piace che la storia rimanga così. Non mi piace continuare a sfruttare un’idea solo perché è andata bene.
[D] Molto tenera la figura del bambino a partire dal nome… è per addolcire il racconto?
[R] Il nome scelto era un dettaglio reale perché Ughino è il nome di un collega di mio marito, ex pugile. Mi sono trovata a raccontare di lui perché anche se ha molta grinta, fa tenerezza.
[D] Lei è di Grosseto dove è ambientata la storia del romanzo, vi è anche lì un campo rom?
[R] C’era una volta, non sono stabili e i molti che abitano nella zona non hanno il conforto di stare uniti in un campo. Oggi sono gli ultimi degli ultimi, è come se non avessero motivo di essere, perché i loro mestieri sono scomparsi con la globalizzazione, erano incisori, allevatori di cavalli, hanno visto scomparire tutto con l’arrivo del made in China. Vantavano anche tradizioni circensi, anche quello sta scomparendo perché oramai vanno di moda le multisale. I rom si devono spostare spesso, non hanno denaro, poche aree attrezzate. Penso che anche nella legalità ci siano livelli diversi. Non si può dire che tutti rubano se anche uno solo non lo fa. Come dicevo, la loro identità culturale sta scomparendo, l’integrazione li distrugge.
[D] Cosa pensa della tratta dei bambini o delle violenze perpetrate agli stessi?
[R] In una società industrializzata, fredda, in cui conta solo il denaro, le vittime più deboli sono proprio le donne e i bambini. Mai come in questo periodo storico c’è stata mancanza di attenzione nei confronti dei bambini, hanno bisogno di sicurezza, di un ambiente protetto e questo non significa avere la Play Station. Avere la pancia piena non ti dà la felicità, è invece avere una madre e un padre che ti ascoltano, che ti fa giocare, anche Ughino nel romanzo è una potenziale vittima perché non trova comprensione né protezione. Manuel invece, il ragazzo rom, conosce la vita per la sua durezza ma può fare affidamento sulla Mama Nera che lo sa ascoltare e comprendere.
[D]Grazie Roberta per la Sua disponibilità, sappiamo che è molto impegnata con le presentazioni del romanzo, ci auguriamo di ritrovarla anche nella nostra zona…
[R] Grazie, volentieri… magari mi potreste presentare proprio voi la prossima volta! Un saluto a tutti i lettori!
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