
Nell’odierno spazio interviste ospitiamo Silvia Napolitano autrice di “Quel confine sottile”, edito da Bollati Boringhieri. Ho avuto il piacere di leggere e recensire il suo romanzo di esordio ed oggi approfondisco con l’autrice alcuni dei temi da lei affrontati fra le pagine.
[Federica Cervini]: Ciao Silvia è un vero piacere conoscerti. Per cominciare vuoi parlarci del rapporto tra il commissario Ligabue e gli animali: in un primo tempo Arturo (il cane che muore e che Ligabue seppellisce in giardino), poi Bulli, Leon, Luis.
Cosa cerca e cosa riceve Bruno dal rapporto con gli animali?
[Silvia Napolitano]: Ciao Federica – beh, tocchi un tema che mi sta molto a cuore! Ligabue ha bisogno di un cane accanto a sé, e forse nemmeno lui ne conosce la ragione. Dopo la morte di un cane che è stato molto importante per lui nella sua vita passata, chiede a Brenda di cercargliene un altro, ma lo fa d’istinto, quasi senza pensarci, come se sentisse di non poter vivere senza un cane. Il caso gli assegna Bulli, cane danneggiato come è danneggiato lui: infatti i due si somigliano, e solo l’istinto di sopravvivenza e il bisogno disperato di affetto che hanno entrambi li aiuteranno a guarire, insieme. Con i gatti Bruno ha invece un rapporto ambiguo, di cui non posso parlare per non svelare cose importanti della storia. Ma anche i gatti avranno per lui un significato importante, lo aiuteranno ad andare avanti e a scoprire che la vita può essere ancora bella.
[FC]: “A volte Fabrizio aveva la sensazione che fosse Zac a gestirlo, e non il contrario”.
Zac e Fabrizio Mieli: chi tra i due è il paziente e chi il terapeuta?
E a proposito di Mieli e del suo aver “ricacciato indietro i fantasmi nello stesso modo in cui si pigiano i vestiti in una valigia”: si può sopravvivere a tuo avviso con segreti e fantasmi così celati nel cuore?
[SN]: Sì, certo, si sopravvive fino a che i fantasmi non escono dalla valigia. E allora ci si guarda allo specchio, magari per la prima volta. È quello che succede a Fabrizio, anche grazie a Zac. Ed è vero, accade spesso che le parti si invertano, Zac diventa il terapeuta, e Fabrizio il paziente: o almeno lui lo vive così, e inizia a vedere in quel suo paziente ragazzino una sorta di analista magico, che legge i suoi pensieri e sa tutto di lui. In realtà non è così, sono le sue paure che glielo fanno sospettare. Ma poi, in fondo, Zac non ha bisogno di nessun analista, e lo sanno entrambi. Così come sanno che Fabrizio, forse, ne avrebbe bisogno.
[FC]: Parlaci ora del rapporto di amicizia tra Buccini e Ligabue.
[SN]: È un’amicizia maschile, ed entrambi non sono abituati ad averne. Infatti, nasce spontanea, silenziosa e istintiva. Non c’è nulla di concreto che li lega, non hanno interessi comuni, né passioni condivise. Eppure, c’è da subito, tra loro, una sorta di riconoscimento reciproco: si annusano, come fanno i cani, e sanno che tra loro può esserci un’amicizia. In seguito, questo rapporto diventa, a suo modo, anche affettivo: e la comprensione si trasforma in complicità, solidarietà, vicinanza.
[FC]: cito ora uno dei passaggi più significativi del tuo giallo: “Il confine è sottile, sottilissimo. Una carta velina. Sei da questa parte, e un attimo dopo sei dall’altra. Tutti abbiamo un confine sottilissimo, la linea di demarcazione che separa un attimo dall’altro. La vita dalla morte, la vita di prima dalla vita di dopo”.
Parlaci del significato del titolo del tuo giallo “Quel confine sottile” e del valore del confine sull’orlo del quale viviamo.
[SN]: È vero, noi viviamo sempre sull’orlo di qualcosa: basta nulla a precipitarci in un’altra realtà, in un’altra vita. È questo confine così labile, che ci accompagna durante tutta la nostra esistenza, che mi interessa: un confine con cui il caso si diverte a giocare nella nostra vita, mostrandoci la sua provvisorietà.
Ma nel libro si parla anche di un confine assai sottile tra la colpa e l’innocenza, tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto. È impossibile, io credo, tracciare una linea di demarcazione netta tra il bianco e il nero: c’è sempre una zona grigia, sfumata, in cui coltiviamo i nostri sensi di colpa, le nostre incapacità.
Ma tutto questo, dopotutto, è umano, molto umano.
[FC]: un altro argomento che mi ha molto toccata nel tuo giallo è il rapporto genitori – figli: quali sono i desideri dei genitori che tu consideri accettabili nei confronti della vita dei propri figli? Mi riferisco ad esempio ad Imparato, che ha scelto di diventare poliziotto per compiacere il padre e la madre. Ed Aurora: cosa vuole per Zac? Quando quei desideri diventano una prigione e non sono più positivi per un figlio?
[SN]: Le famiglie possono diventare gabbie terribili quando non riescono a guardare dentro i propri figli, e vedono solo quello che vogliono vedere: i ragazzi come Imparato, quelli con un carattere debole, o con una natura mite, non ce la fanno ad opporsi. Ma nello stesso tempo il valore che questo ragazzo dà ai suoi affetti familiari è qualcosa di grandioso: infatti non appena non ‘deve’ più nulla a nessuno, diventa in grado di fare le sue scelte. Diverso è il caso di ragazzi annullati dalle pressioni familiari, che mai riusciranno ad essere sé stessi ed a scegliere: questo accade quando le pressioni non sono affettive, ma derivano da modelli di vita rigidi. In questi casi il disastro è dietro l’angolo. Su Aurora, invece: lei ed il figlio hanno in comune la volatilità, la leggerezza, l’assenza di modelli prestabiliti. Aurora è una madre affettiva, e vuole per il figlio solo quello che Zac desidera per sé stesso. È un esempio raro: mescolare amore e libertà è sempre molto difficile.
[FC]: Ligabue e Picariello: indagini diverse, dolori simili. Vuoi descriverci l’evoluzione del loro rapporto professionale e personale all’interno del romanzo?
[SN]: cara Federica l’evoluzione del loro rapporto rispecchia l’evoluzione che entrambi compiono lungo il romanzo: nessuno dei due conosce, all’inizio della storia, quello che accadrà, le scoperte che faranno, su sé stessi e sugli altri. Vanno avanti al buio, e nel buio si ritrovano. Da creature che non si sopportano, scopriranno piano piano le loro affinità: e le scopriranno senza dirselo, a volte solo con quella sorta di parentela psichica che passa attraverso una misteriosa percezione dell’altro. Alla fine, affiorerà quel filo inspiegabile e terribile che li lega, e che finalmente li renderà compatibili.
Forse, addirittura amici.
[FC]: Ad un certo punto del tuo romanzo contrapponi da un lato l’“indeterminatezza dell’animo umano” e l’“indagine nelle vite degli altri”, dall’altro la “precisione della scienza” e la “struttura della materia”.
Quali sono gli elementi ai quali attingi per scrivere? E quali sono stati gli autori con la lettura dei quali sei cresciuta e ti sei formata?
[SN]: È vero, ci sono contraddizioni tra la mia tendenza alla totale irrazionalità, a una visione solo intuitiva del mondo e delle persone, e il desiderio forte di conoscenza scientifica, e di curiosità per la precisione della scienza.
Ma è una contraddizione apparente, credo: riuscire a mettere insieme la vitalità dell’irrazionale con lo stupore che può procurare la scienza è da sempre un mio desiderio. Non è un caso che gli autori che ho amato sono, in gran parte, quelli che sono riusciti a mescolare le due cose: da Henry James a Robert Luis Stevenson, da Mary Shelley a Edgar Allan Poe, fino a Julio Cortazar, Thomas Mann, Antonio Tabucchi. E molti altri. Ma da ragazzina amavo anche Wodehouse: la mia parte leggera.
[FC]: Siamo alle battute finali della nostra piacevole chiacchierata: vuoi lasciare un messaggio di saluto ai lettori di Thriller Café?
[SN]: Il miglior saluto che posso fare ai lettori di ThrillerCafè è: continuate, continuate (continuiamo) sempre ad amare il thriller, il giallo, il noir, il poliziesco. È nella nostra natura cercare di scoprire i colpevoli, fare indagini fuori e dentro di noi: il thriller è il genere che più corrisponde alla natura stessa dell’umanità.
[FC]: Concordo appieno con questa tua riflessione Silvia!
Thriller Café ed io ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato, arrivederci.
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