Giornalista e scrittore, autore di D’amore non si muore, intervistiamo oggi su ThrillerCafe.it Stefano Caso.
[D]: Ciao Stefano, benvenuto su Thrillercafé. Ho avuto il piacere recentemente di recensire su questo sito il tuo bel romanzo d’esordio D’amore non si muore, edito da Rusconi. Ti va di parlarcene?
[R]: È una sorta di “giallo brillante”, che ha come protagonista Betty Cabrini, affascinante giornalista quarantenne, omosessuale e sull’orlo dell’alcolismo, che, attraverso le indagini sull’omicidio di una bellissima commessa, ritrova, o forse trova per la prima volta, il bisogno di ricercare la verità. A darle una mano nelle indagini ci sono due universitari, il primo etiope, il secondo con un nome quasi da donna; ma con lei c’è anche un mio alter ego, che ha il compito di provarci con Betty Cabrini e, di tanto in tanto, di provocarla e insultarla…
[D]: La protagonista del tuo libro, Betty Cabrini, è una donna. Per molti autori uomini non è sempre semplice descrivere personaggi femminili, eppure tu sembri essere molto a tuo agio, tant’è che Betty è un personaggio molto riuscito e intrigante. Anche nel racconto Pricesa di cui sei autore per l’antologia Nessuna più (Elliot Edizioni), la voce dell’Io narrante è una donna. Si tratta di una precisa scelta narrativa o di una semplice coincidenza?
[R]: Nessuna coincidenza. Mi piace inventare e scrivere personaggi femminili, mi affascina cercare di comprendere come le donne ragionino e come interpretino le relazioni interpersonali, la vita e il mondo. Anche se non riuscirei mai a essere alla loro altezza…
[D]: Nello sgangherato quartetto di investigatori che anima le pagine del tuo libro ci sono in realtà due binomi inscindibili: uno è quello formato dalla coppia Adelmo/Luiso e l’altro quello della coppia Betty/Emiliano. Entrambi sono tenuti insieme da una profonda amicizia. Che cos’è, invece, che tiene insieme tutti loro?
[R]: Soprattutto il non essere degli investigatori professionisti, ma, appunto, degli “sgangherati” alla disperata ricerca di una verità. In questo ricordano, per certi versi, i “Comici spaventati guerrieri” di Stefano Benni, scrittore che adoro da sempre. A tenerli uniti, poi, c’è Betty Cabrini, il cui fascino, anche se un po’ alcolico e stanco, è irresistibile.
[D]: Leggendo le tue note biografiche in terza di copertina e guardando i disegni di Nicolò Pizzorno apparsi sulla pagina facebook del romanzo, qualche sospetto che Emiliano Leda sia la versione romanzata di Stefano Caso penso venga a chiunque. Quanto c’è di te, in lui?
[R]: Emiliano Leda è colui che, nel corso della mia vita, avrei spesso voluto essere, ma che è stato troppe volte censurato. Certo, non tutto di lui mi piace. Però invidio la sua disinvoltura, la sua impulsività e il suo idealismo. E poi è addirittura più figo e carogna di me, il maledetto pelatone!
[D]: Ho sentito dire che attualmente stai lavorando al seguito di D’amore non si muore. Ritroveremo la nostra amatissima Betty anche lì?
[R]: Certo, anche se con un anno di più sul groppone. E con lei ci saranno alcuni dei personaggi di D’amore non si muore. Ma la vera protagonista sarà sempre lei, Betty Cabrini. Credo di esserne innamorato…
[D]: C’è qualche speranza che prima o poi Betty trovi l’amore?
[R]: Nel seguito di D’amore non si muore incontrerà una ragazza, con cui vivrà una storia tanto breve quanto intensa. Anche se non mi hanno mai permesso di entrare in camera con loro…
[D]: Nel romanzo, una parte importante ce l’ha la musica. Quando scrivi sei solito ascoltarne o sei di quelli che cercano il silenzio, quando scrivono?
[R]: No, non sopporto scrivere nell’assoluto silenzio, mi metterebbe troppa malinconia e non mi farebbe trovare la giusta ispirazione. Quindi scelgo, di volta in volta, la musica più adeguata per la scena che sto descrivendo, alzo il volume (spesso in cuffia) e parto tamburellando sulla tastiera del tablet come se fosse una mini batteria. In questo momento sto ascoltando Thelonious Monk, lo conosci?
[D]: No, confesso; ma ora che mi hai messo la pulce nell’orecchio proverò ad ascoltarlo. Tornando a te, invece: cremonese di nascita e friulano d’adozione. Quanto sei rimasto cremonese e quanto sei diventato friulano, in questi anni?
[R]: In realtà, pur amando la mia città d’origine e il Friuli in cui vivo, non mi sono mai sentito né l’uno né l’altro. Certo, mi esprimo ancora in dialetto cremonese – particolarmente colorito nelle espressioni più triviali – soprattutto quando, in macchina, mi rivolgo agli altri automobilisti; mentre mi piace azzardare qualche frase in friulano con i miei nuovi amici “furlani”. Mandi, frus!
[D]: Nelle dinamiche di un giallo ci sono sempre una vittima, un colpevole e qualcuno che indaga sulla morte della prima per scoprire l’identità del secondo. È un triangolo direi piuttosto classico. Che cosa deve avere, oggi, secondo te, un buon giallo per evitare che questo triangolo si trasformi in un cliché, un ‘già letto’ che spinge il lettore ad abbandonare la lettura di un giallo dopo le prime pagine?
[R]: Non è facile essere originali nel cosiddetto “giallo” e in tutti i suoi sottogeneri. Io cerco di lavorare soprattutto su uno stile di scrittura il più possibile originale e senza troppi fronzoli, ma soprattutto brillante. In questo mi sono state di grande aiuto le letture di due scrittori italiani che adoro, Stefano Benni e Loriano Macchiavelli, anche se soltanto il secondo scrive gialli. Poi cerco di caratterizzare i miei personaggi, rendendoli molto diversi tra loro e facilmente rappresentabili nella fantasia del lettore. Infine lavoro sulla trama, che, come nella migliore tradizione del genere giallo, deve riservare continuamente sorprese, suspense e un colpevole e un finale imprevedibili. Di certo, non sopporto la scrittura facile, fatta di “schizzi di sangue”, “arti mozzati” e “frattaglie umane varie”. Quella la lascio agli scrittori “macellai”…
[D]: Un’ultima domanda prima di lasciarci. Ce l’hai il numero di cellulare di Betty Cabrini?
[R]: Sì, ma non te lo do. A meno che, visto che lei è omosessuale, tu non ti metta un bel tailleur rosa e ti depili dalla faccia in giù…
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