Su Thriller Café ospitiamo oggi Alessandro Perissinotto, autore di “Semina il vento”, edito da Piemme. Ecco la chiacchierata avuta riguardo al suo ultimo romanzo e non solo…
[D]: Semina il vento è un romanzo bellissimo che riesce ad emozionare suscitando anche profonde riflessioni. Una su tutte è quella sul razzismo. Cos’è il razzismo per Alessandro Perissinotto?
[R]: Razzismo è semplicemente negare l’appartenenza a un comune gruppo umano, far prevalere altri criteri di aggregazione (geografici, culturali, ecc.) sui criteri che ci rendono uguali.
[D]: Crede che questa cultura del diverso da noi, specialmente riguardo alle convinzioni religiose, possa influire sullo sviluppo delle convivenze nel nostro mondo occidentalizzato? E se sì, quanto?
[R]: Siamo di fronte a un paradosso: l’Occidente ha creato mezzi di comunicazione potentissimi e, talvolta, si rifiuta di comunicare davvero; ha i mezzi, ma non la voglia per comunicare. L’incapacità di comunicare viene manipolata soprattutto a fini politici e i simboli religiosi, da sempre, costituiscono delle ottime bandiere dietro le quali far combattere le persone in nome di una ricompensa che i potenti non possono dare e che delegano a fantomatiche entità ultraterrene.
[D]: Semina il vento tratta anche i temi del fanatismo religioso con le sue intolleranze. Ha qualcosa da dire a questi imbecilli che si fanno saltare in aria in nome di dio seminando terrore e morte?
[R]: Non esiste solo il fanatismo religioso islamico, esiste il fanatismo protestante, ad esempio quello del reverendo Terry Jones che brucia copie del Corano, sostenendo che l’Islam è il diavolo, esiste il fanatismo cattolico di Radio Maria, con padre Livio Fanzaga che vede il diavolo in chiunque la pensi diversamente da lui e con punte, specie in Polonia, di chiaro antisemitismo. Ci sono vari modi per farsi saltare in aria, vari modi per portare morte e distruzione: non ho parole per rivolgermi ai kamikaze d’ogni tipo, io posso solo rivolgermi agli altri, ai moderati, e chiedere di condannare ogni fanatismo.
[D]: Come è nata l’idea di scrivere Semina il vento?
[R]: L’idea nasce da due spunti diversi.
Mio padre mi raccontava che talvolta, a Torino, quando i fascisti venivano a prendersi gli ebrei, le persone scendevano in piazza e applaudivano dicendo “era ora che ci liberavate da questa gentaglia”. I semi dell’odio e della propaganda razzista avevano dato i loro frutti nel giro di qualche anno. Ecco dunque il primo spunto.
Il secondo nasce da un’ordinanza del sindaco di Varallo Sesia, che vieta l’uso del costume da bagno islamico, il cosiddetto burkini, in tutto il territorio del comune. L’assurdo è che in questo piccolo paese del nord Italia (come in tutta Italia) non c’era proprio alcun bisogno di emettere un provvedimento del genere, ma il sindaco si è giustificato dicendo che questo è il momento giusto di far capire che non siamo disposti ad accettare gli usi degli altri.
Molto di quello che c’è nel libro è vero, così come reale è la parte che riguarda le aberrazioni della lega nord sull’argomento razzismo o antisemitismo.
Parallelo storico fra i due spunti: L’odio rimane tale indipendentemente dall’obiettivo.
[D]: Cosa direbbe a chiunque usa e alimenta l’odio per fini politici?
[R]: Molti s’illudono di poter utilizzare l’odio e di poterlo controllare, ma una volta seminato l’odio cresce da sé, non è più possibile gestirlo, e l’odio porta alla morte. L’odio contro gli ebrei ha portato all’olocausto. Quando sono state promulgate le leggi contro gli ebrei in Italia, non si prevedeva quello che è poi accaduto. Naturalmente, anche da parte islamica vi è chi semina il vento. Non esce vincitore nessuno da questa guerra.
[D]: Semina il vento è anche la storia di una gran passione amorosa finita in tragedia. Perché ha tinto tutto di nero?
[R]: La scelta della dimensione tragica è legata alla tragicità dei tempi e delle strategie politiche. Io credo che lo scrittore abbia un compito di sentinella. Deve segnalare quali possono essere i pericoli, perché lui è abituato più di altri ad osservare la realtà. La tragedia potrebbe essere alle porte: il finale avverte dei pericoli cui si va incontro sottovalutando la portata dell’odio seminato in questi anni.
[D]: Fra i temi conduttori del romanzo c’è il sopravvento dell’incomunicabilità nei rapporti umani, portando tutte le relazioni, sia amorose che sociali al fallimento. Le chiedo: perché oggi non si comunica più? E cosa suggerisce per tornare a comunicare?
[R]: Io non credo che sia l’incomunicabilità il tema. Credo che oggi si comunichi tanto, ma c’è la difficoltà a capirsi. Non credo proprio che ci sia questa incomunicabilità, c’è forse una difficoltà a rendere queste comunicazioni profonde, significative. Il gioco delle amicizie su Facebook è indicativo: migliaia di amici virtuali, ma pochissime amicizie concrete.
[D]: Perissinotto si trova meglio nei panni di scrittore minimalista o in quelli di scrittore Thriller?
[R]: Anche minimalista è una definizione nella quale non mi trovo esattamente perché gli americani hanno una poetica molto precisa che non è la mia. Quindi io spero di trovarmi bene semplicemente nei panni di scrittore, indipendentemente dalle etichette. La scrittura dei thriller mi ha appassionato e continua ad appassionarmi, ma vedo nella scrittura anche un ruolo sociale, e io mi sento chiamato a temi che si prestano poco ad essere integrati nella struttura del thriller. Già quando scrivevo i thriller in realtà speravo fossero di denuncia. Purtroppo per voi, amici di thrillercafè il mio nuovo romanzo non sarà un thriller.
[D]: Prendo in prestito da Marzullo, una domanda classica per terminare l’intervista: “Fatti una domanda e datti una risposta”.
[R]: Coincidenza vuole che sia stato ospite di Marzullo proprio due settimane fa, ma non ho avuto occasione di sfruttare questa domanda, pertanto ne approfitto.
La domanda che posso farmi è: perché in un’epoca in cui è così facile comunicare, una parte della politica sceglie la strada dell’incomprensione?
La risposta che posso dare è che probabilmente nelle democrazie attuali buona parte degli uomini politici è la parte peggiore della società e dell’umanità. Il numero di compromessi a cui deve scendere un politico per ottenere un’elezione lo porta a trasformarsi nella parte peggiore della società. Quali favori devi promettere? Quanti soldi devi richiedere? E poi, più alta è la carica, maggiori sono i compromessi. Va da sé.
Bene e con questo, nella speranza di non beccarci un po’ di querele da destra o sinistra, da centro… o di sopra e di sotto, terminiamo quest’intervista con Alessandro Perissinotto, che è riuscito a rispondere lucido su temi così complessi, mentre era alle prese con la riparazione di un vetro di casa, montando e smontando, siliconando e avvitando. Nel congedarmi le sue ultime parole sono state: “Il bricolage è la mia passione” e questo lo rende ancora più umano, più vicino a noi.
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