Dopo aver recensito qualche giorno fa il suo nuovo romanzo, Il caso Kellan, edito da Baldini+Castoldi, abbiamo oggi il piacere di intervistare Franco Vanni qui al Thriller Café. Non perdetevi questa interessante chiaccherata.
[D]: Ciao Franco, benvenuto al Thriller Café. Raccontaci un po’ di te come persona e come scrittore. Come mai hai scelto di inserire in una storia molto milanese elementi esterni, quali il console americano ed il suo amico Han?
[R]: Milano è internazionale per natura. Una delle squadre di calcio della città si chiama Internazionale Football Club, in città vivono migliaia di stranieri i cui figli sono più milanesi di me. Nelle università si tengono corsi solo in inglese. Milano è stata dominata da Spagna e Austria, e da ogni epoca ha saputo trarre il meglio. Quanto al cuoco vietnamita, è un personaggio quasi vero: ancora oggi, di fianco all’Antica Trattoria della Pesa, una targa ricorda che lì negli anni Trenta lavorò come cuoco Ho Chi Minh.
[D]: Alcuni dettagli, come appunto l’accenno al ristorante milanese dove avrebbe lavorato Ho Chi Minh, sono presi dalla realtà. L’ambientazione è completamente reale o ci sono luoghi inventati?
[R]: È quasi tutto puntualmente reale. Ma ci sono luoghi che ho deciso di ricollocare nel tempo, come nel film Ritorno al Futuro. Qualche esempio. La “buca” dove avviene l’omicidio – un piccolo parco di fronte alla Triennale che noi milanesi chiamiamo “fossa dei leoni” – non è più da molto tempo luogo di incontri occasionali per uomini gay. Via Silvio Pellico, che nel romanzo descrivo come un vicolo buio, oggi è invece luminosa e scintillante. L’albergo Villa Garibaldi, dove vive il protagonista, è ispirato al vecchio Hotel Napoli di via Pontaccio. Ho cercato di raccontare l’anima dei luoghi, piegandoli se necessario alle esigenze della trama”.
[D]: Se il paesaggio, come detto, è ampiamente riconoscibile nella vita vera, per il delitto e per gli ambienti omosessuali milanesi hai preso spunto dalla realtà o sono frutto della tua fantasia?
[R]: Io lavoro come cronista giudiziario per il quotidiano la Repubblica, quindi ogni giorno scrivo di omicidi, indagini e processi veri. Qualche anno fa, un ragazzo omosessuale mi chiamò raccontandomi di essere stato pesantemente picchiato da una banda di giovani teppisti omofobici, in un luogo di incontro notturno. Mi disse che simili aggressioni sono frequenti, e di rado vengono denunciate. Trovai il fatto eccezionalmente grave, e degno di un approfondimento. Scrivendo il mio articolo, mi convinsi che la storia poteva essere la base per la storia di un romanzo. Così è nato il Caso Kellan.
[D]: Finito il libro ho avuto l’impressione che Steno e Scimmia siano una coppia che può dare ancora tanto. Hai intenzione di scrivere ancora su di loro?
[R]: Mi piacerebbe molto. Ho già in mente una trama di massima per un seguito, con gli stessi personaggi. Quando avrò tempo, mi metterò di nuovo al tavolino a scrivere. Non escludo però di scrivere prima un saggio d’inchiesta. Nel 2017 ho pubblicato con il collega Andrea Greco per Mondadori il libro Banche Impopolari, indagine sulle magagne delle banche del territorio. Da allora, mi sono arrivate diverse proposte per nuovi libri, e alcune idee le ho avute anche io. Vediamo. Intanto mi godo il Caso Kellan, che mi sta dando belle soddisfazioni.
[D]: Sei un cronista giudiziario. Quali sono le affinità e le divergenze tra la letteratura di genere ed il lavoro giornalistico?
[R]: Scrivendo di cronaca giudiziaria, mi occupo ogni giorno di tragedie reali di persone vere. Scrivo di vittime di reato, di genitori a cui è stato ucciso un figlio, di carcerati all’ergastolo in celle sovraffollate, di risparmiatori truffati che hanno perso tutto. Questo comporta una responsabilità. Ogni parola in più, negli articoli di cronaca, è da evitare. Non si fa letteratura sulla pelle della gente. O almeno, così penso. Inventando storie, invece, si ha una grande libertà espressiva. L’unico limite è quello della verosimiglianza. Passare dalla cronaca alla narrativa per me è come per un camionista andare in vacanza in camper. Si tratta sempre di guidare (nel mio caso, scrivere), ma quando è in ferie il camionista può viaggiare senza tappe fissate, senza tempi rigidi, senza un capo che gli dice che strade percorrere e dove fermarsi.
[D]: Domanda da un milione di dollari. Cos’è per te il noir?
[R]: È la prevalenza di ciò che è nascosto su ciò che è evidente. È un’atmosfera di pericolo e vertigine, che avvolge storia, luoghi e personaggi”.
[D]: Qualcosa che vuoi dire a tuoi e nostri lettori?
[R]: Leggete il caso Kellan. È un libro di cui sono molto orgoglioso, anche perché ho avuto l’enorme fortuna di avere come editor Alberto Rollo, un gigante, come professionista e come persona. Ma se non avete ancora letto Scerbanenco, leggete prima Scerbanenco, che è meglio.
[D]: Grazie per esserci passato a trovare.
[R]: Grazie a voi, e complimenti al vostro bellissimo Café. Lo dico come appassionato lettore di gialli e anche come ex barista!
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