Marcello Simoni ha recentemente pubblicato per Einaudi Il marchio dell’inquisitore e, dopo aver segnalato l’uscita del romanzo, siamo riusciti a intervistarlo.
Classe 1975, nato a Comacchio, Marcello Simoni ha conosciuto il successo nel 2011 con Il mercante di libri maledetti, e da lì non si è più fermato, accumulando titoli su titoli con una prolificità che impressiona, soprattutto se si tiene conto del fatto che la qualità dei suoi scritti rimane sempre alta.
Tanti ormai anche i premi e riconoscimenti ottenuti, fra i quali spicca indubbiamente il Premio Bancarella 2012: cerchiamo di scoprire qualcosa in più sull’autore e sul suo ultimo romanzo…
[D]: Ciao Marcello, benvenuto al Thriller Café. La nostra prima domanda è molto semplice: chi è Marcello Simoni come persona e come scrittore?
[R]: Un creativo che insegue suggestioni e ama perdersi in esse.
[D]: Diventare uno scrittore è sempre stato un obiettivo per te, o hai capito che volevi scrivere in un momento particolare della tua vita?
[R]: Fin da bambino amavo inventare storie d’avventura e personaggi che potessero viverle, ma è stato con la scoperta del romanzo giallo e gotico che ho realizzato per la prima volta quanto sarebbe stato affascinante intraprendere il mestiere dello scrittore. Avevo quindici anni e davanti ai miei occhi c’erano i modelli di Lovecraft, Jack London, Conan Doyle e Salgari. Modelli tutt’ora inarrivabili, s’intenda, ma che continuano a spronarmi a fare del mio meglio.
[D]: Segui un metodo di lavoro costante o riesci a scrivere nelle condizioni più diverse?
[R]: Scrivo ogni giorno, compresi i sabati e qualche volta le domeniche. Un’oretta anche il 25 dicembre, se non mi rompono le scatole. I miei orari di lavoro vanno dalle 11 di mattina alle 6 di sera, ma all’occorrenza possono prolungarsi. Il mio ambiente prediletto è lo studio, circondato dai libri e dagli appunti. Posso però adattarmi al terrazzo, al treno e alle stanze d’albergo. Scrivere per me è come fare yoga: mi rifugio in un’isola sospesa tra due mondi, quello dell’immaginario e quello del tangibile. Quando la raggiungo, mi isolo quasi completamente da tutto il resto.
[D]: Come è nato il tuo romanzo appena edito, Il marchio dell’Inquisitore? E quanto c’è di vero e quanto di inventato?
[R]: Il marchio dell’inquisitore è un romanzo che portavo dentro da parecchio tempo, nell’attesa del momento giusto per scriverlo. In primo luogo perché abbisognava di lunghi step di documentazione, inoltre perché era necessario che il mio stile di scrittura maturasse al punto di consentirmi di elaborare una trama davvero ricca. La difficoltà maggiore è stata adattare l’enorme mole di riferimenti storici con il ritmo di una fiction leggera e spigliata. Per darvene un’idea, si pensi che tutti i personaggi presenti nella mia trama (esclusi il protagonista e le vittime) sono vissuti realmente. Lo stesso avviene per le ambientazioni, le chiese e le varie tipografie descritte o citate, inclusi i legami familiari di ogni singolo stampatore presente nel romanzo. Un esempio significativo è padre Francesco Capiferro, segretario della congregazione dell’Indice che passò alla Storia per aver emendato i testi di Galileo. Ne mio giallo, quest’uomo assurge al ruolo di John Watson e si misura con battute infiorettate di acume seicentesco con il “detective” protagonista: l’inquisitore Girolamo Svampa.
[D]: Quando, come e perché hai deciso di cambiare ambientazione storica e di passare al Seicento? Ci sono state difficoltà particolari nel passaggio?
[R]: Ho scelto il Seicento per dimostrare che gran parte delle “leggende oscure” attribuite al Medioevo provengono in realtà da questo secolo. È proprio da questo momento, infatti, che la censura libraria, l’inquisizione e la caccia alle streghe incidono pesantemente nella storia dell’umanità. Lo stesso si dica per lo sviluppo dell’alchimia e della tradizione esoterica-qabbalistica, di cui prima si hanno soltanto nozioni confuse. Ed è sempre in pieno Barocco che la carestia e la criminalità – soprattutto in città come Roma – giungono al loro apice. Il salto di scenario naturalmente non è stato immediato, ha richiesto molta concentrazione, ma devo ammettere di essermi davvero divertito. Il Medioevo e il Rinascimento, narrativamente parlando, presentano molti limiti (di contenuti, di linguaggio, di trama). Il Seicento invece, come ci insegna Dumas, offre uno scenario perfetto per giocare con gli intrighi e le avventure. Specie se claustrali.
[D]: Quali pensi che siano le principali differenze fra questo tuo nuovo romanzo e quelli precedenti?
[R]: Qui troverete maggior precisione, consapevolezza e leggerezza. Il marchio dell’inquisitore è un giallo che si sviluppa su diversi piani narrativi, psicologici e deduttivi. Ciò nondimeno si muove su binari molto rapidi, con duelli adrenalinici e dialoghi ariosi. Se state cercando una trama di monasteri, delitti e frati indagatori, lo leggerete tranquillamente in un paio di pomeriggi. Ciò nonostante, continuerà a vivere nel nostro cervello per diverse settimane.
[D]: Girolamo Svampa: tu che lo conosci meglio di chiunque altro, come lo definiresti?
[R]: Prima di essere un frate e un inquisitore, Girolamo Svampa è un uomo. Un uomo arrabbiato, di preciso. Un gravissimo trauma infantile blocca la sua emotività, al punto da renderlo insensibile – quasi apatico – verso il prossimo. Lo Svampa non riesce, in sostanza, a sviluppare empatia con le persone che gli stanno accanto, e tiene lo sguardo costantemente rivolto al passato (prossimo o remoto) per evitare di rapportarsi con i propri simili, che egli definisce “accidenti necessari”. Tutto questo però è soltanto la superficie. Sotto un apparente stato di autismo si agita infatti una sconfinata intelligenza e un feroce desiderio di vendetta.
[D]: Svampa continuerà a indagare? Dobbiamo aspettarci presto altre sue avventure o prima hai in preparazione altri lavori?
[R]: Sto lavorando anche ad altri progetti, ma lo Svampa è un personaggio troppo interessante per poter svanire nel nulla. Lo staff di Einaudi editore se ne è letteralmente innamorato e io stesso, l’ammetto, ne sono entusiasta. Tornerà molto presto.
[D]: Un suggerimento per aspiranti scrittori. Un suggerimento per appassionati lettori.
[R]: Un consiglio valido per entrambi: non smettete mai di divertirvi. La lettura e la scrittura sono le uniche dimensioni in cui possiamo davvero essere noi stessi, e intrattenerci come ci pare e piace per tutto il tempo che vogliamo.
[D]: Vuoi dire ciao ai lettori di Thriller Café?
[R]: Un buon thriller, un po’ di caffeina, e la giornata inizia già a girare meglio. Un saluto a tutti!
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