Fresco vincitore del Premio Tedeschi 2016 con La voce delle ombre, romanzo recensito la settimana scorsa, intervistiamo oggi lo scrittore Paolo Lanzotti chiedendogli di parlare di questa importane vittoria e della sua ultima fatica.
[D]: Benvenuto su Thriller Cafè, Paolo. Domanda di rito. Molti grandi scrittori di polizieschi, come Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Danila Comastri Montanari e Giulio Leoni, prima di diventare famosi, hanno vinto il Premio Tedeschi. Che effetto fa vincere un premio così importante?
[R]: Un effetto composito, somma di diverse emozioni, a volte perfino contrastanti. Ovviamente, parlo della mia esperienza personale. Non so quale effetto possa avere su altri. Essere affiancato a nomi come quelli che hai citato è un onore. Quindi, per me la prima sensazione è stata l’incredulità. Poi è subentrata una sorta di timore inespresso. Autori come Lucarelli o Leoni hanno percorso una strada che io, pur non essendo un autore alle prime armi, devo percorrere ancora interamente. Mi sono chiesto se saprò mantenermi all’altezza delle aspettative. Banale, forse, ma è così. Infine ho provato una sensazione di sollievo. Questo premio è giunto a interrompere un digiuno che durava ormai da cinque, sei anni. Un periodo lungo, nel quale avevo continuato a scrivere come sempre, senza però trovare quelle risposte, nel mondo dell’editoria, alle quali, bene o male, mi ero quasi abituato. Un giorno qualcuno mi ha detto: “Quando hai giocato in serie A, è dura trovarsi improvvisamente in serie C”. A me era capitato proprio questo. In tal senso, il premio Tedeschi è stato una specie di rinascita. Una seconda giovinezza che spero di poter vivere ancora a lungo.
[D]: La voce delle ombre. Un titolo molto bello e evocativo. A che cosa si riferisce?
[R]: Si riferisce a ciò che non viene detto. A ciò che si nasconde e dev’essere svelato. Il mormorio delle verità scomode, che si vorrebbe celare ma che, a volte, bisogna avere la forza d’affrontare. Ho sempre pensato che un investigatore, suo malgrado, sia una specie di macellaio dello spirito, o di chirurgo, se preferisci un’immagine meno tetra. Il suo compito è fare a pezzi le anime per strappare loro i segreti che nascondono. La voce delle ombre, appunto. Come sempre, ho riflettuto a lungo sul titolo e, a quanto pare, una volta tanto ho avuto l’intuizione giusta. In genere, quando ne propongo uno me lo cambiano. Questa volta no. Che sia un segno del destino?
[D]: La voce delle ombre è un giallo storico ambientato nella Venezia del 1849, ma anche un bel “whodunit”. E come accadde nei migliori classici, fornisci al lettore tutti gli indizi per scoprire il nome dell’assassino (il cosiddetto “Fair-play”). Nel romanzo inserisci anche un enigma della camera chiusa che esce un po’ dagli schemi classici, ma con una bella trovata per l’arma omicida misteriosamente scomparsa. Il giallo classico continua ad avere milioni di lettori in tutto il mondo. Quale credi che sia il segreto di tanta longevità?
[R]: Credo che il segreto risieda nel fatto che il giallo classico, il mistery, è una specie di partita a scacchi tra l’autore e il lettore. Un gioco, insomma. Un gioco nel quale ciascuna delle due parti cerca d’avere la meglio rispettando le regole non scritte del genere. L’autore deve mettere a disposizione di chi legge tutte le informazioni necessarie, facendo però in modo che non sia facile notarle. Il lettore deve calarsi nei panni dell’investigatore, raccogliere gli indizi e trarne le conclusioni. È dai tempi di Sherlock Holmes che facciamo questo gioco ed è sempre intrigante. Devo dire che, personalmente, il solo giallo che mi appassioni davvero è proprio questo: il giallo d’investigazione. Gli altri li leggo sì, ma senza troppo coinvolgimento. Non mi basta sentir sparare una pistola o veder colare del sangue. Per divertirmi, mentre leggo, ho bisogno di confrontarmi con qualcuno che faccia funzionare il cervello.
[D]: La descrizione della città di Venezia, assediata dalle truppe austriache, è arricchita da una serie di quadretti di vita quotidiana che ricordano le opere pittoriche di Eugenio Bosa (1807-1875), Giuseppe Barison (1853-1931), Alessandro Milesi (1856-1945), Domenico Miotti (1836-1916). Prendi ispirazione dai quadri o è solo frutto della tua fantasia?
[R]: Ti sei dimenticato di Ippolito Caffi, giunto recentemente alla grande notorietà grazie alla mostra allestita a Venezia, e che io conoscevo proprio per le mie ricerche storiche sul periodo. In quanto alla tua domanda, effettivamente a volte mi servo dei quadri per trovare spunti che possano aiutarmi a ricreare l’atmosfera dell’epoca. Ma, per lo più, ciò che descrivo è frutto di fantasia. Ovviamente, devo molto ai testi di storia che consulto prima di cominciare la stesura del libro. È successo la prima volta con i romanzi che ho ambientato nella Mesopotamia di quattromila anni fa. Poi ancora con la Venezia del ‘700. Adesso tocca all’800. Il meccanismo è sempre lo stesso. Prima, molto studio. Poi un periodo di riflessione e decantazione. Infine, il salto nella scrittura. In tutto ciò, quello che posso trarre da quadri e illustrazioni varie (quando li trovo) è senz’altro un utilissimo corollario e un bel aiuto.
[D]: Come nasce l’idea per un romanzo comeLa voce delle ombre? C’è qualche autore che ti ha ispirato?
[R]: Credo che qualsiasi romanzo nasca, essenzialmente, dal banalissimo e meraviglioso desiderio di raccontare una storia e dalla speranza che risulti interessante. I gialli non fanno eccezione, immagino, anche se hanno delle caratteristiche proprie e peculiari. Gli autori ai quali mi ispiro sono i grandi del mistery. Dunque, Conan Doyle e Agatha Christie, in primo luogo. Ma anche altri, che non credo sia necessario citare, tanto sono noti agli appassionati.
[D]: Il Premio Tedeschi non è la tua prima vittoria. Sei già arrivato in finale diverse volte e hai vinto parecchi premi letterari. Quanto è importante vincere dei premi letterari per la carriera di uno scrittore?
[R]: In Italia è diventato quasi essenziale. Non vorrei sembrare polemico ma, purtroppo, nel nostro bel paese l’amore per i libri è cosa rara. A guardarmi attorno, a volte ho l’impressione che ci siano più scrittori che lettori, da noi. In una condizione del genere, dove ogni autore deve sgomitare per conquistarsi l’attenzione di pochi volenterosi, l’editoria è una specie di gorgo infinito, che risucchia aspirazioni, desideri e fatiche. Ovviamente, se hai un nome consolidato è diverso. Ma se sei uno dei tanti, sono dolori. Se poi sei un esordiente, vincere un premio è diventato uno dei pochi modi per arrivare a una pubblicazione. E anche questo ha i suoi limiti. Prendiamo un qualsiasi concorso letterario per inediti, che sia serio, ovviamente. Partecipano cento romanzi (dico per dire). Ne vengono selezionati cinque, che vanno in finale. Uno vince, gli altri spariscono. Si può davvero credere che i quattro finalisti sfortunati non meritassero la pubblicazione come il vincitore? Sinceramente, io credo di no. In una rosa di finalisti ci sarò senz’altro il romanzo che si distingue, che merita la vittoria. Ma gli altri non possono essere così inferiori al primo, altrimenti non sarebbero mai arrivati a contendergli il premio. In un altro paese, anche loro, probabilmente, troverebbero un editore. In Italia il più delle volte svaniscono, come se non fossero mai esistiti, oppure devono rassegnarsi al self-publishing. È una realtà dura, che scoraggia molti dal proseguire.
[D]: Finalmente un romanzo giallo scritto da un veneziano ha vinto un premio importante. Napoli, Milano e Bologna hanno una lunga tradizione poliziesca. Perché, secondo te, una città gotica e d’atmosfera come Venezia non riesce ad avere grandi scrittori autoctoni?
[R]: In realtà, qualcuno c’è. Recentemente mi è capitato di leggere dei gialli ambientati a Venezia, anche di genere storico. Però hai ragione. Contrariamente a Bologna, per esempio, dove sembrano concentrarsi metà dei giallisti italiani, Venezia non ha ancora una tradizione così solida. Non credo ci siano ragioni specifiche. Penso sia solo un caso (o troppi spritz?). In questo senso, vorrei tanto poter dire che io aprirò la strada a un futuro diverso. Ovviamente, sarebbe solo una battuta di spirito. Ma chissà? magari il mio esempio fortunato potrebbe spingere altri a battere la stessa via.
[D]: Ho visto che alterni i più disparati generi letterari, tra cui la poesia, la fantascienza e i romanzi per ragazzi. È prevista anche l’uscita di un altro giallo: “La verità è un’ombra, Watson”, per la collana Il Giallo Mondadori-Sherlock. Qual è il genere che preferisci?
[R]: Non ho un genere preferito. Così come sono un lettore onnivoro e sempre affamato, sono anche uno scrittore che ama cimentarsi con generi diversi. Negli ultimi tempi i miei sforzi si sono concentrati soprattutto sul giallo storico, ma ho avuto modo d’occuparmi anche di altro, sia pure saltuariamente. È quello che ho sempre fatto, pur nella consapevolezza che, in Italia, ci sono generi che è meglio evitare. Si scrive anche per se stessi, altrimenti che divertimento sarebbe? In quanto poi al mio Sherlock Holmes, non potevo non cimentarmi con il personaggio che ha fatto nascere il mistery. Ho voluto dare la mia interpretazione personale di un mito e i responsabili del Giallo Mondadori-Sherlock hanno deciso di premiare i miei sforzi. Ti assicuro che mi sento onorato. Spero che i lettori la pensino allo stesso modo.
[D]: Il tuo rapporto con la lettura è lo stesso che hai con la scrittura? Mi spiego meglio: leggi di tutto o hai dei generi e autori che preferisci?
[R]: Come ho già detto, sono un lettore onnivoro. Ovviamente, devo tenere conto dei tempi e dei costi. Non si può né acquistare né leggere tutto ciò che viene pubblicato, purtroppo. Io risolvo il problema concentrandomi sui libri che, in un determinato periodo della mia vita, mi coinvolgono anche come scrittore. In questi ultimi anni ho letto essenzialmente gialli storici e testi di storia. Ma, ti ripeto, è solo perché non posso fare altrimenti.
[D]: A parte il fenomeno del forte aumento delle vendite dei romanzi “teen-horror”, le librerie vendono quasi esclusivamente polizieschi, noir e gialli. Il romanzo poliziesco dai suoi esordi si è trasformato in mille modi ma continua ad essere il genere più amato. Quale pensi sarà il futuro sviluppo di questo genere letterario?
[R]: Difficile dire se possa avere un’evoluzione reale. Il giallo è ormai un genere così consolidato, così tipico, nelle sue caratteristiche essenziali, che mi sembra arduo possa cambiare ancora in modo significativo. Forse la sola possibilità concreta è una sua ibridazione con altri generi: cosa, del resto, che già accade, almeno in parte.
[D]: Cosa significa per te essere uno scrittore?
[R]: Concedimi una divagazione fantasy. Vogliamo dire che lo scrittore è una specie di piccolo mago senza bacchetta né magia? Per me è così. Scrivere significa dare vita a un mondo che non esiste, a personaggi che altrimenti non avrebbero mai avuto voce, a storie che non sarebbero mai state raccontare. È una cosa straordinaria che sa, appunto, di calderoni fumanti e formule esoteriche. Il mestiere più bello che ci sia. Peccato che in Italia molti non se ne accorgano.
[D]: Che cosa pensi dei libri in formato digitale?
[R]: Ho un rapporto ambivalente con gli e-book. Da lettore, apprezzo molto la possibilità di portare con me centinaia di titoli in una piccola scatola come un e-reader. Da scrittore, non riesco proprio a considerare “pubblicato” un mio libro, se esce solo in e-book. Il problema è che ce l’ho sotto gli occhi in formato digitale per mesi e mesi, mentre scrivo. Non riesco a percepire la differenza tra il file a cui ho lavorato fino a ieri e quello che qualcuno ha messo in rete. Copertina a parte, per me sono la stessa cosa. Detto ciò, penso che il futuro sia del digitale e immagino che i prossimi autori non avranno di questi problemi. Gli scrittori della mia età rappresentano, probabilmente, il confine ultimo e definitivo, lo spartiacque fra l’era della carta e quella dello schermo.
[D]: I tre migliori romanzi del 2016, secondo te?
[R]: Permettimi di non rispondere a questa domanda. Ovviamente, nel 2016 sono state pubblicate cose che mi sono piaciute e altre meno. Ma, da scrittore, non ho mai voluto stilare classifiche. So troppo bene quanta fatica, quante ansie, quante aspettative ci siano dietro un romanzo. Quindi, per me, sono tutti eccezionali.
[D]:Grazie per aver accettato il nostro invito, Paolo. È stato un piacere averti al Thriller Café.
Foto tratta da Fantascienza.com
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