Peter James, londinese, nasce come produttore cinematografico ma poi decide di dedicarsi alla scrittura, e il successo, anche se non immediato è arrivato consacrandolo come uno degli scrittori più acclamati del panorama noir. I suoi thriller hanno venduto milioni di copie, e sono stati tradotti in 34 paesi, ha pubblicato i suoi romanzi con diverse case editrici ma il volume che ha dato adito alla nostra intervista è Doppia identità edito da Kowalski, che non si è fatta sfuggire questo successo letterario attraverso una veste grafica tutta nuova. Grazie James per aver accettato l’invito del nostro Café…
D: Si ricorda qual è il primo libro di cui si è innamorato?
R: Sì, quando avevo quattordici anni lessi Bringhton Rock di Graham Greene, appena terminato il libro mi sono ripromesso che un giorno avrei provato a scrivere un romanzo anche io che fosse almeno per il dieci per cento buono come quello appena letto. È per me un romanzo quasi perfetto, è stato il primo romanzo su di un delitto dove la polizia/detective ha un ruolo secondario mentre si è nella testa del cattivo e della vittima. “Hale sapeva che entro trenta minuti giunto a Brighton era destinato a ucciderlo…” è una delle frasi più belle, molto intelligente, molto allettante, molto molto noir. I personaggi sono meravigliosi, profondamente umani. Più che essere un thriller semplicemente teso, Greene usa il romanzo per approfondire temi di grande fede religiosa, l’amore e l’onore. In più è uno dei pochi romanzi in cui l’adattamento cinematografico valorizza lo scritto piuttosto che sminuirlo.
D: Ora ha fatto venire voglia anche noi di leggerlo… ma andiamo avanti rimanendo sempre in tema di preferenza, qual è la sua canzone preferita?
R: “If You Go To San Francisco… (be sure to wear some flowers in your hair)” di Scott Mackenzie: l’ho sentita un pomeriggio che andavo a scuola, e quello stesso pomeriggio incontrai una brasiliana di straordinaria bellezza che era venuta nella mia scuola per vedere un suo cugino. C’è stata un’attrazione immediata tra di noi e passammo i tre giorni successivi in un appartamento a Londra insieme, con quella canzone che continuava a suonare. Ascoltarla mi ricorda quella passione.
D: Qual è il momento in cui preferisce scrivere?
R: Alla sera, tra le sei e le dieci, per molti anni ho avuto un doppio lavoro, fare film e scrivere romanzi, e ho dovuto trovare una parte della giornata solo mia, alle diciotto bevo un martini con vodka, mi chiudo nel mio studio con della musica, soprattutto jazz e mi immergo nella mia scrittura per le prossime quattro ore. Poi ceno davanti alla tv con un vassoi sulle gambe guardando qualcosa di trash come Disperate HouseWives.
D: I protagonisti del suo romanzo “Doppia Identità”, Ronnie Wilson e Debby Dawson, sono due truffatori come non se ne incontrano spesso: la loro personalità è nata spontaneamente o ha dovuto costruirla per soddisfare la trama?
R: Quando frequentavo la scuola di cinema, a ventuno anni sono stato truffato da una coppia di bei ragazzi, lui si chiamava Jean Claude, mi aveva derubato di una valigetta costosa regalatami per il mio compleanno. Dopo cinque anni mi sono imbattuto per caso in lui in un ascensore a Toronto. Alzò la valigetta e mi disse “guarda, ho ancora questa meravigliosa ventiquattr’ore che mi hai regalato” e poi mi porse un biglietto da visita. Inutile dire che quando ho telefonato al numero del biglietto un paio d’ore dopo, compresi che il numero era inesistente! Ho disegnato questi due personaggi sull’idea di quel tizio.
D: Qual è stata la parte più difficile da scrivere sull’11Settembre?
R: Volevo ottenere l’atmosfera di ciò che realmente sentivo, ero stato a New York quella mattina. Ho avuto la fortuna di conoscere i primi due poliziotti accorsi sulla scena, mi hanno presentato i colleghi che mi hanno dato a loro volta la loro testimonianza. La parte più difficile è stata quella dell’orrore vissuto, molte cose non sono state riportate dai media, sono stati rinvenuti molte parti di corpi a Ground Zero, i volti erano tranciati… la polizia ha fatto appello ai cittadini di New York affinché portassero i loro cani, non per trovare i corpi o i superstiti tra le macerie ma per dare una parvenza di normalità ai soccorritori. La parte difficile è stata trovare appunto un equilibrio per mostrare l’orrore senza strumentalizzarlo. Sono contento di come il libro sia venuto.
D: Preferiamo andare avanti e non commentare in questo luogo di “leggerezza” questa abnorme tragedia. Lei James è uno scrittore disciplinato?
R: Si, molto, il mio primo lavoro pagato da scrittore è stato quello di scrivere per un programma televisivo giornaliero per bambini in età prescolare. La produzione iniziava alle dieci ma alle nove dovevo essere lì per consegnare lo script, no script, no spettacolo! Ora quando inizio un libro mi costringo a scrivere almeno mille parole al giorno, sei giorni la settimana, non importa se quel giorno ho altro da fare.
D: Quanta energia impiega per decidere quale linguaggio utilizzare nei suoi romanzi?
R: Ce ne metto un sacco, questa parte è veramente importante per me per riuscire a ottenere la voce autentica dei miei personaggi. È la ragione per cui sto un giorno a settimana con la polizia, per capire la loro cultura, il loro linguaggio, faccio lo stesso anche quando visito le carceri.
D: Come è arrivato a scrivere romanzi e a pubblicarli?
R: Ho scritto tre romanzi nell’adolescenza ma per fortuna nessuno di loro è stato pubblicato. Un agente è stato il mio punto di partenza per il primo libro da adulto, poi ho letto un articolo sul The Times che diceva che vi era una carenza di thriller e spionaggio, così ho pensato “Potrei scriverne uno io!” Così scrissi una specie di spionaggio-thriller con mio grande stupore l’ho pubblicato ma ancora con più stupore seppi che non ha venduto! E così è stato per gli altri due. Un amico al Penguin (NDR casa editrice) mi disse che non avevo le qualità per essere un romanziere di successo. Mi chiesero perché volevo scrivere thriller e risposi che volevo avere successo e soldi, mi risposero che non li avrei fatti, non si scrive per soldi ma solo su quello che appassiona, aveva ragione. L’anno dopo degli amici persero il figlio in un incidente e questo mi diede l’idea per un nuovo romanzo. Sono sempre stato interessato al soprannaturale e quando si ha una perdita spesso si cerca il modo per trovare un contatto, così scrissi “Possession” la storia di una madre che perso il figlio, cerca di mettersi in contatto con lui e scopre che ha ucciso la sua fidanzata. Questo libro è andato dritto al primo posto, è stato tradotto in 26 paesi e mi ha consacrato come autore!
D: Ci sono particolari aspetti umani che la affascinano e che continua a studiare per i suoi romanzi?
R: Assolutamente si, sono affascinato soprattutto dal fatto che molti crimini sono commessi da persone assolutamente normali. Il peggior serial killer che abbiamo avuto nel Regno Unito era un medico di famiglia di nome Harold Shipman, che ha ucciso 350 pazienti, negli Stati Uniti invece è stato Ted Bundy, un ragazzo davvero bello, studiava legge e lavorava per il partito repubblicano, ha violentato e ucciso 39 studentesse universitarie. Il mio romanzo “Dead Like You” è stato ispirato ad un caso reale, tra l’83-87 nel nord dell’Inghilterra un uomo stuprò una serie di donne, le prendeva all’uscita di locali e dopo la violenza si impossessava delle loro scarpe come trofei. Nel 2003 una donna di quella zona fu fermata con la sua auto per un controllo dalla polizia, le prelevarono il dna per verificare il suo stato di ebbrezza e scoprirono che il suo dna era simile a quello rinvenuto sulle donne violentate, era inevitabile che fosse una parente stretta del criminale. Doveva per forza essere il fratello anche se era un uomo di successo, quando fu avvisato di questo controllo, l’uomo tentò di impiccarsi nel suo garage. Era un uomo di 47 anni, sposato e con due figli che lo adoravano, un pilastro per la comunità. Quando la polizia fece irruzione nel suo ufficio il giorno dopo, trovarono una botola sotto il tappeto con 126 scarpe con il tacco a spillo avvolte nel cellophane.
D: Accidenti, ci fa venire la pelle d’oca! Un ultima domanda, ha una visione spirituale della vita?
R: Si, certo, ho vissuto in due case infestate! E non ditemi che i fantasmi non esistono!
D: Sul serio!!
R: Sì, Hellen la mia partner è una medium e a volte se ne esce con cose straordinarie! Ma a parte questo ho sempre creduto che c’è molto più di quello che vediamo. Attualmente vi sono personaggi legati alla scienza che vogliono imporsi come Richard Dawkins, (l’illusione di Dio) che stanno cercando di confutare questa dimensione spirituale, ma si farebbe bene a pensare che molto ciò di che gli scienziati provano, viene poi screditato nelle generazioni future.
D: La ringraziamo per averci dedicato tutto questo tempo, ha davvero risposto esaurientemente a tutte le nostre curiosità.
R: Grazie a voi per avermi dedicato la vostra attenzione.
(foto da dailymail.co.uk)
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