A distanza di qualche anno dall’ultima volta in cui abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, ospitiamo nuovamente oggi su Thriller Café Piergiorgio Pulixi che ci parla del suo ultimo romanzo e non solo. Buona lettura…
[D]: Piergiorgio per iniziare facciamo un gioco e partiamo dalla fine… è uscito da poco il tuo ultimo romanzo: La scelta del buio, protagonista insieme a L’ira di Venere di un lungo tour per l’Italia ancora in corso, parlaci un po’ delle tue ultime fatiche letterarie.
[R]: “L’ira di Venere” è una raccolta di venti racconti dove l’elemento comune è raccontare il delitto, la violenza, la vendetta, e il riscatto da un punto di vista femminile. Ogni racconto vede una donna per protagonista in una girandola di ruoli che va dalla vittima, all’investigatrice, alla criminale, alla carnefice, e così via. Almeno la metà prende spunto da fatti di cronaca reali che ho trasfigurato letterariamente per raccontare i prodromi della violenza, la “gestazione” della vendetta, la macerazione dell’odio, fino a portare le protagoniste al punto di rottura, quel momento in cui la vita precedente, per come la si era conosciuta, termina, e ci si addentra in nuovo destino, spesso oscuro. “La scelta del buio” è invece un thriller psicologico che si innesta sulla struttura di un poliziesco procedurale. È la seconda avventura del commissario Strega – protagonista del precedente “Il Canto degli innocenti” – ed è un’indagine sul mestiere dell’investigatore, su quanto i casi che segui finiscano per cambiarti, cercando di farti scivolare nell’abbraccio del buio.
[D]: Ne L’ira di Venere protagoniste sono le donne: come è maturata questa scelta?
[R]: Nutrivo l’ambizione di voler cercare un perché a tutta questa violenza di genere, di immergermi al di sotto della superficie della cronaca ed esplorare le reali motivazioni. Al tempo stesso volevo che il libro risultasse una sorta di atto d’accusa nei confronti di noi uomini e pensavo che il tutto avrebbe avuto più pervasività se fossero state delle donne a raccontarsi, senza filtri, senza edulcorare contenuti e stile. L’abbracciare la “forma mentis” femminile e il loro sguardo prospettico mi ha permesso di analizzare più in profondità situazioni e personalità, mostrando come in realtà la principale ratio di questa violenza derivi da un deficit culturale: soffriamo ancora di un retaggio culturale arcaico, maschilista e machista, che inficia il nostro modo di vedere i rapporti di coppia, di privilegiare tutta una serie di comportamenti sessisti, ma soprattutto in Italia non è stata mai praticata una vera “educazione di genere” e ancora meno “un’educazione sentimentale”; il tutto è stato scaricato sulle spalle della famiglia, della scuola, e – in parte ancora maggiore – sulla televisione; ma questi tre soggetti non erano certo esenti da una certa miopia sessista, e questo ha prodotto una società che cova disagio e incapacità di relazionarsi e vivere i propri sentimenti in maniera pacifica. Se a questo si aggiunge come aggravante una dolorosa crisi economica, sociale, e identitaria della figura maschile che ha perso il ruolo di “centro nodale” della “Famiglia” per come la si intendeva fino a qualche anno fa, l’esplosione della violenza, purtroppo, è praticamente garantita.
[D]: I racconti spesso in Italia sono snobbati rispetto al romanzo hanno pari dignità letteraria secondo te?
[R]: Non solo pari dignità, forse, in certi casi e per alcuni autori, sono addirittura superiori. La forma del racconto breve necessita di un’ars diversa rispetto a quella del romanzo: lo stile dev’essere più rarefatto senza perdere in intensità del lessico e variatio dell’aggettivazione che vanno entrambe più levigate e affinate. Scrivere racconti comporta una disamina e una scelta più disciplinata e ragionata sull’uso delle parole: sfrondare i pleonasmi e l’eccesso diventa perentorio; concentrarsi sull’immediatezza e la carnalità della lingua, è basilare. Mentre nel romanzo si possono nascondere molte manchevolezze e sopperire con la tecnica e la mole a molte lacune e difetti, nel racconto breve si gioca a carte scoperte: se bari, vieni scoperto subito. Questo comporta una responsabilità maggiore, e un’onestà intellettuale che ti porta a servire la storia in maniera più cristallina: incombenze che spesso, invece, sfumano e vengono meno nell’ampio respiro del romanzo, dove il liquore della storia spesso viene annacquato con la lungaggine delle descrizioni e dell’ars affabulatoria.
[D]: Quando è stato il momento in cui hai capito di essere uno scrittore.
[R]: Quel momento in realtà non è mai arrivato, e cercherò di far sì che arrivi il più tardi possibile. Quando inizio a scrivere qualcosa di nuovo, ogni volta è come la prima volta. Ogni volta nutro gli stessi dubbi, le medesime paure, e questo mi permette di conservare intatta una frenesia di raccontare una storia; frenesia che va domata e addomesticata, certamente, ma che è di primaria importanza per innamorarsi dell’artigianato della scrittura che può essere ostico e respingente perché richiede sacrificio e strenuo impegno. Così, ogni racconto e ogni nuovo romanzo, è come se fossero un nuovo debutto, una nuova origine. Sentirsi già arrivato, pensare di essere ormai uno scrittore smaliziato e ben accreditato da premi, lavori precedenti, e il plauso dei lettori, può essere molto pericoloso per un autore. Meglio ritenersi ancora un principiante della scrittura, e mettersi totalmente al servizio della storia e delle parole, con spirito di sacrificio e onestà. La scrittura e la professionalità che ne derivano si dimostrano solo con i fatti, con i risultati, non a parole.
[D]: Per i tuoi romanzi prediligi il genere noir: come è maturata questa scelta?
[R]: Dalla passione che come lettore nutro verso questo genere. Del noir mi piace l’onestà intellettuale, e il non accontentarsi di un viaggio emozionale sicuro e consolatorio. Diciamo che è un po’ come farsi un giro sulle montagne russe senza allacciarsi le cinture di sicurezza: nel noir la sicurezza è un qualcosa su cui non si può fare affidamento. Dopo un po’ si diventa assuefatti a questa sensazione, nella lettura così come nella scrittura di questo genere.
[D]: A proposito di libri preferiti, facciamo un gioco. Sei costretto a vivere su un’isola deserta e puoi portare solo tre libri, solo tre classici della letteratura, quali scegli.
[R]: Tre classici? Anna Karenina, I Demoni, e Il Conte di Montecristo.
[D]: Il giallo in Italia è sempre più protagonista in tv con Montalbano, Schiavone, Coliandro… potrebbe esserci spazio anche per il protagonista da La scelta del Buio, l’investigatore Vito Strega?
[R]: Chissà. Lo spero.
[D]: In questi mesi stiamo assistendo alla proiezione di svariati film tratti soprattutto da romanzi thriller/horror da It a La ragazza nelle nebbia, fino alla fantascienza con Blade Runner; ne hai visto qualcuno e cosa ne pensi?
[R]: Ho visto It, e mi appresto a vedere con grande curiosità e aspettative “La ragazza nella nebbia”. It mi è piaciuto, sebbene continui a prediligere la prima versione – quella televisiva in due puntate – pur essendo consapevole di tutti i difetti di quell’opera, però – forse per ragioni anagrafiche – la trovo più vicina come suggestioni, “verosimiglianza”, alla storia raccontata nel romanzo. O forse tutto ciò deriva solo da una mia divinizzazione di quegli anni e di quella parte della nostra vita. La nuova versione è ottima, fatta benissimo, nonostante questo l’ho vissuta come un piccolo tradimento al mio immaginario che è stato forgiato da quel libro spettacolare. Nessun film può competere con l’immaginario intimo e personale di un lettore, questa è la verità a mio avviso.
[D]: Libro ed ebook sono due facce della stessa medaglia eppure c’è ancora chi vede una contrapposizione, come mai.
[R]: Anche qui credo che l’età giochi un ruolo determinante, corroborata da situazioni logistiche, e gusti personali. Tecnicamente l’ebook è un’invenzione rivoluzionaria e dovrebbe rappresentare una manna dal cielo per i lettori. Tutto questo però va a cozzare con un insieme composto da sensazioni tattili, profumi, la musicalità e il fruscio delle pagine che scorrono, in una parola sola con la “carnalità” del libro. Chi è avvezzo a questo tipo di sensazioni, si sentirà immancabilmente tradito da un surrogato virtuale. Io appartengo a questa prima fascia di nostalgici, e non sono ancora stato traviato alla lettura digitale. Se dovessi puntare i miei ultimi denari, scommetterei comunque sulla lunga vita della carta, (o magari di un suo surrogato cartaceo creato in laboratorio che non ci costringa a dover sacrificare alberi e foreste, speriamo), perché in sé possiede qualcosa di magico, difficilmente replicabile in altre forme.
[D]: Come è il tuo rapporto con le case editrici e l’editoria in generale.
[R]: È un rapporto consapevole di tutti gli elementi e i bisogni in campo. L’editoria è un mondo impresario che anela a ideali poetici ancorandosi a una struttura commerciale. È un equilibrio molto sottile e assai complesso da mantenere. L’autore ne deve essere consapevole. Le logiche del mercato, i bisogni dei lettori, le istanze dei librai, sono coordinate che non si possono ignorare se si vuole avere un futuro in questo settore: ciò non significa precludere la propria creatività, tarpare le ali alla nostra immaginazione, o sottomettersi, umiliati e offesi, al Mercato. Però bisogna essere coscienti che una volta che ci si mette in gioco non si possono avanzare richieste dettate dall’amor proprio o dalla strenua e accorata difesa del proprio romanzo o della propria autorialità: si entra a far parte di una elefantiaca, complessa, e iperstratificata macchina commerciale, che lo si voglia o meno. I libri non si vendono da soli. Forse poteva essere così un tempo, quando l’intrattenimento era puro appannaggio della carta stampata. Oggi le cose sono diverse, e l’offerta è estremamente più variegata. Questo comporta la necessità di compiere delle scelte e l’adozione di alcuni comportamenti in virtù del percorso vitale del “libro” che – si spera – essere il più lungo possibile.
[D]: Come dicevamo in apertura sei tuttora protagonista di un lungo tour per le librerie italiane in un epoca in cui spopola l’online: la tua scelta si può dire in controtendenza?
[R]: Amo le librerie, le biblioteche, i gruppi di lettura, e tutti quei luoghi dove c’è ancora un contatto umano tra lettori, perché è da quel mondo che provengo. Credo che in questo momento storico ed economico così difficile, l’alleanza tra librai e autori sia di vitale importanza per il futuro di entrambi; al di là del bellissimo rapporto amicale e affettivo che mi lega a tanti librai e tante librerie, c’è anche la volontà di rinsaldare questo legame con lettori e librai libro dopo libro, cercando di capire e andare incontro a bisogni e alle istanze degli uni e degli altri; e questo lo si può fare solo guardando negli occhi le persone, e ascoltando “de visu” le loro parole. In un mondo, (quello dei libri), spesso soggiogato a fredde – per quanto necessarie – sollecitazioni economiche e commerciali, ritengo che i rapporti personali e il “calore umano” siano elementi imprescindibili che vadano preservati a ogni costo per il bene di questi luoghi – le librerie – per me sacri.
[D]: Il rapporto dello scrittore con il suo pubblico come deve essere dal tuo punto di vista.
[R]: Il più onesto, pulito, e meno ragionato possibile. Si scrive non per compiacere qualcuno, ma per servire una storia.
[D]: Quali sono i tuoi prossimi appuntamenti in libreria.
[R]: Il 18 novembre presenterò gli ultimi romanzi alla libreria Ubik di Cesena, il 26 novembre parteciperò a Mesthriller, e poi ancora a Roma il primo e il 10 dicembre, Rieti il 15 e 16 dicembre con Enrico Pandiani, e il 18 dicembre chiuderò il tour 2017 a Viterbo.
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