Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, romanzo breve edito nel 2001, ma già diventato un classico, è oggi il piatto forte dietro al bancone del Thriller Café.
Si tratta d’un opera atipica, inclassificabile, che scorre lenta fino a un finale invece convulso e trasognato, che però resta esplicativo della poetica di Ammaniti, profonda nella propria disillusione.
È l’estate più calda da tempo immemorabile. Ad Acque Traverse, nient’altro che quattro case, fittizie, sperdute tra i capi di grano del Sud, sei bambini diversissimi s’avventurano in bicicletta nelle campagne polverose e arroventate dal sole. Senza saperlo, pedalano verso un segreto innominabile, sconvolgente; un vincolo maledetto che involge il sogno e la dannazione d’un intero paese.
“Vedevo le loro scie nel grano. Salivano piano, in file parallele, come le dita di una mano, verso la cima della collina, lasciandosi dietro una scia di steli abbattuti.”
In queste due righe dell’incipit già si respira in profondità l’humus narrativo de Io non ho paura: il linguaggio semplice eppure evocativo d’un substrato carico di tensione e in qualche modo già opprimente; la carica d’una attesa di qualcosa d’incoerente ma profondamente reale. Anche l’ambientazione, polverosa, sporca, incandescente, contribuisce allo straniamento del lettore, al senso di disagio e fascinazione tipici d’ogni romanzo di Ammaniti. Quello di Acque Traverse è un mondo povero, meschino, spaurito; soprattutto, è una realtà a due livelli. Quello di Michele, bambino di nove anni, dolce, ingenuo io narrante. Quello dei “grandi”, che vanno e vengono, si riuniscono, sbraitano fino a tarda notte, prigionieri della crudeltà disperata di chi non ha più nulla da perdere.
E proprio la disperazione, la semplicità d’animo e l’indifferente crudezza della Natura e della vita paiono al centro di quest’opera del grande narratore romano. Pure l’intreccio, sorprendente nella sua evidente semplicità, concorre allo scopo; così i personaggi: dal Teschio fino ala paffuta Barbara, da Anna e Pino fino a Sergio, da Michele stesso a Filippo, imprigionato nel suo mondo oscuro pieno d’orsetti.
Concludendo, Io non ho paura è, in fin dei conti, il racconto d’una realtà troppo spesso taciuta eppure più che mai, appunto, reale; è una discesa a rotta di collo nell’animo umano, oltre ogni sovrastruttura, oltre i fronzoli, fino al “basico”, alla semplicità di quelli che non ce l’hanno fatta, che si sono persi e che proprio per questo sono stati colpevolmente dimenticati.
Recensione di Alessio Massaccesi.
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