Mi sembra una splendida notizia il fatto che HarperCollins abbia deciso di ripubblicare le opere di Andrea G. Pinketts (che immagino voi tutti sappiate è lo pseudonimo di Andrea Pinchetti). Oggi qui recensisco “Io, non io, neanche lui”, primo “romanzo di racconti”, come lo definisce nella prefazione Andrea Carlo Cappi, originariamente pubblicato nel 1996. Lo stesso Cappi ci aiuta in più momenti nel corso del volume a decifrare la poetica di Pinketts (ammesso che sia qualcosa che rientra nella sfera del possibile), proprio lui che aveva condiviso con l’autore il periodo delle serate milanesi dedicate al giallo. Serate nelle quali, tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila, venivano presentati libri in particolare legati alla serie dei Gialli Mondadori, in diversi bar della città.

E non sarebbe possibile capire Andrea Pinchetti staccandolo troppo dalla sua Milano del finire del secolo scorso. Perché, in “Io, non io, neanche lui”, racconti che prendono spunto dai colloqui con l’analista transazionale Dottoressa B (figura realmente esistente) è chiaro il riferimento alla “Milano da bere” (forse i più piccoli non capiranno, ma la rete li aiuterà), che lui fa a pezzi con il suo stile immaginifico e tagliente, aiutato da una folla di personaggi tanto improbabili, quanto irresistibili. Abbiamo così accalappianani, anatre che diventano farfalle, licantropi e altro ancora, il tutto raccontato con uno stile inconfondibile, tra Flaiano e Groucho Marx, sempre super-iperbolico, ma allo stesso tempo mai troppo staccato dalla realtà.

Non chiedetemi di sintetizzare o peggio interpretare la serie di racconti, perché secondo me questi scritti vanno piacevolmente sorseggiati, cogliendo qua e là quel bellissimo sapore amaro che ci rimane attaccato alle papille gustative. Per esempio, l’accalappianani è la chiara metafora della Tangentopoli di fine secolo, perché nani e non giganti sono stati gli accalappiati. Attenzione però, perché questi inizialmente erano (o si credevano) giganti, che con il tempo hanno visto ridurre le loro dimensioni, fino a sparire. Oppure nel racconto dove l’anatra diventa farfalla, la rete di spie può essere un riferimento alle trame del nostro Paese e al fatto che spesso noi preferiamo eliminarci tra noi, piuttosto che goderci la vita.

Il mondo di Pinketts è un mondo alla rovescia, nel senso che il suo punto di vista è capovolto rispetto a quello della morale comune. Così quando ci parla del serial killer che lui chiama “il licantropo”, non adotta il punto di vista degli investigatori, ma quello dell’omicida. Proprio come nel racconto “La bestia e la Bestia”, sottotitolo “Requiem per Jack lo squartatore”, dove persino per il più efferato criminale di tutti i tempi c’è spazio per un po’ di comprensione. Oppure ancora nel racconto il cui protagonista è Jacopo Mortis, lo squartatore del Giambellino, dove lui stesso narra la sua storia da criminale psicopatico, lasciandoci col dubbio se sia lui o noi ad essere veramente deviato e deviante.

Se il mondo capovolto è lo scenario in cui Pinketts ambienta le sue narrazioni, l’ironia è il registro e lo stile utilizzato. Superlativa la sua capacità dissacrante e umoristica. Vi consiglio in particolare tutto quanto contenuto nell’Appendice. Sono scritti giovanili irresistibili, introdotti e contestualizzati sempre da Cappi. Si parla dei temi più disparati, sempre con riferimenti estremamente colti, mi banali. Si fa persino una critica politica militante, fuori da ogni schema. Ma il meglio è nel pezzo chiamato “Che fine ha fatto Baby Ruth?”, dove Pinketts si scaglia contro chi associa Ruth Rendell ad Agata Christie, lo fa in un modo che è al tempo stesso impeccabile e molto divertente. E ci lascia nel mezzo una chicca, che mi ha ricordato realmente Groucho Marx e il suo “non vorrei mai appartenere a un club che contasse me tra i suoi iscritti”, Pinketts ci parla della Dottoressa B. e della sua terapia e dice “dopo un anno di terapia io mi sento esattamente come prima, mentre lei è molto peggiorata”. Straordinario.

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  • Pinketts, Andrea G. (Autore)

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Articolo protocollato da Giuliano Muzio

Sono un fisico nato nel 1968 che lavora in un centro di ricerca. Fin da piccolo lettore compulsivo di tante cose, con una passione particolare per il giallo, il noir e il poliziesco, che vedo anche al cinema e in tv in serie e film. Quando non lavoro e non leggo mi piace giocare a scacchi e fare attività sportiva. Quando l'età me lo permetteva giocavo a pallanuoto, ora nuoto e cammino in montagna. Vizio più difficile da estirpare: la buona cucina e il buon vino. Sogno nel cassetto un po' egoista: trasmettere ai figli le mie passioni.

Giuliano Muzio ha scritto 143 articoli: