James Crumley nasce a Three Rivers, Texas, il lontano 12 ottobre 1939.
Dopo il diploma inizia l’università, che sospende per arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti sino al 1961, quando riprende gli studi e si laurea in Storia, ma solo dopo essersi iscritto ad un master in scrittura creativa in Iowa. La cosa curiosa è che per potersi iscrivere al master avrebbe dovuto prima ottenere la laurea, ma avendo fretta di imparare e conoscendo i tortuosi percorsi della burocrazia, sa bene che ci vorrà un sacco di tempo prima che chi di dovere si accorga dell’inganno. Nel frattempo, James aveva raggiunto lo scopo: imparare i trucchi del mestiere.
E a proposito di mestiere, si può ben dire che Crumley ne ha cambiato veramente tanti: nella sua vita è stato autista di camion, barista, portuale, soldato, giocatore di football, insegnante.
Ma soprattutto, grazie a Dio, è stato scrittore.
E’ lui stesso, in diverse interviste, a raccontare di come la folgorazione per la letteratura hard-boiled sia avvenuta con un libro di Chandler, uno dei tanti con protagonista quel Philip Marlowe di cui in futuro si riconoscerà sempre debitore. Disse una volta: “Saccheggio Chandler a piene mani. Lo diceva anche Eliot: i cattivi scrittori copiano, i buoni rubano. Questa, lui l’aveva rubata ad un poeta francese”.
Fino a quel momento le sue passioni erano indirizzate più verso la letteratura classica, Dostoevskij e giù di lì. Con Chandler tutto cambiò. E’ forse anche per questo che Crumley amava definirsi il suo “figlio illegittimo”.
Il primo libro che pubblica, “Uno per battere il passo” (One to count cadence) è basato sul riadattamento della sua tesi di laurea, ma è solo nel 1975 che da alle stampe il primo dei suoi lavori nati e pensati come romanzi hard-boiled: Il caso sbagliato (The Wrong Case).
Ne è protagonista il detective privato Milo Chester Milodragovitch, così come in “Dalla parte sbagliata” (Dancing Bear) e “La terra della menzogna” (The final country); mentre è C.W. Sughrue il personaggio principale de “L’anatra Messicana” (The Mexican Tree Duck), “Una vera follia” (A real madness) e “L’Ultimo vero bacio” (The last good kiss)
E’ soprattutto quest’ultimo libro ad aprire a Crumley le porte dell’Olimpo del noir. Uscito nel 1978, raccoglie la summa dello stile crumleyano, segnando un profondo solco nella letteratura noir tra tutto ciò che era stato scritto sino ad allora e ciò che in seguito avrebbe dovuto confrontarsi con esso. E’ la storia di C.W. Sughrue, investigatore privato, e della sua ricerca di Betty Sue Flowers, una donna davanti a cui gli uomini si mettono “tutti in fila in attesa del turno”, scomparsa dieci anni or sono da una madre barista che non sa più a che santo votarsi. Non è per danaro che Sughrue accetta, e non è per convenienza che sceglie la compagnia che gli starà attorno durante quel lungo viaggio: lo scrittore alcolizzato di nome Abram Trahearne, che lo stesso Sughrue era appena riuscito ad acciuffare dopo l’ennesima fuga dalle grinfie della moglie, e soprattutto un cane alcolizzato di nome Fireball Roberts.
Cosa fa de “L’ultimo vero bacio” un capolavoro della letteratura? Forse non certo la trama, abbastanza modellata sui classici canovacci di genere, quanto lo spessore dei personaggi e soprattutto lo stile della narrazione e dei dialoghi. Il libro è un lungo ed estenuante macinare chilometri, quasi sempre in macchina, lungo strade di cui non si vede mai la fine, scandito da fermate presso qualche bar a mangiare qualcosa e a buttare giù litri d’alcol.
I personaggi che popolano il romanzo sono uomini disincantati che la vita non riesce più a sorprendere, orfani malinconici del sogno americano, gente nata dalla parte sbagliata del paese che tenta di tirare avanti come meglio può. In mezzo a tutto questo, un barlume di ottimismo è rappresentato proprio da lui, C.W. Sughrue, l’anti eroe per eccellenza, un uomo che fa del sarcasmo il suo scudo, che ostenta quel suo non credere più in niente e in nessuno, che guarda sprezzante il mondo con il gomito perennemente appoggiato al bancone di un bar, ma pronto a mettersi in viaggio e a intraprendere una ricerca disperata per solo “ottantasette dollari, due birre e un sorriso”. E’ Sughrue, così come il suo quasi omologo Milodragovitch, a rappresentare la summa della filosofia di Crumley: è anti nel suo essere sciatto, debordante, a tratti volgare e così nostalgicamente disincantato; ma è soprattutto eroe in quella sua ostinata convinzione, nascosta prima di tutto a se stesso, che alla fine di tutto è la bontà che paga, è l’amore che continua a far muovere il mondo. Gli eroi di Crumley agiscono per un ineluttabile senso di giustizia, magari del tutto personale e non sempre coincidente con la legge, ma di certo coerente e sorretto da una personale e incrollabile etica. Alcune cose sono permesse, altre non si possono nemmeno pensare. Ci sono valori che non si possono tradire, o non si è più uomini. L’amicizia per esempio, quello strano legame che può sorgere all’improvviso, quando scoccano le tre del mattino e anche l’ultimo bar ha chiuso, e Sughrue si ritrova a ingoiare tequila con lo scrittore Trahearne in attesa che la notte finisca, e si sente vicino a lui come a nessun altro, e sa che non lo tradirebbe mai perchè ci sono cose che semplicemente non si fanno, e quando invece è lui che viene tradito, sa che non potrà portare a lungo rancore, perchè lui è fatto così.
Sughrue e Milodragovitch sono le proiezioni su carta del loro creatore. Entrambi veterani di guerra, entrambi forti bevitori, entrambi pessimisti. Sono persone su cui si può contare, pieni di lealtà sino al midollo, generosi nel restituire dieci volte quanto hanno ricevuto.
Nei suoi romanzi Crumley celebra valori che affratellano gli uomini con echi del più puro Hemingway, e non nasconde, anzi ostenta, i suoi debiti verso Raymond Chandler, da cui però prende anche le distanze. Philip Marlowe è un uomo disilluso, cinico e all’apparenza nichilista. Il mondo in cui si muove è marcio e corrotto, eppure sembra sempre di cogliere un vago confine, un limite oltre il quale si è certi che il male non possa arrivare. In Crumley quel limite è non solo superato ma addirittura calpestato e irriso. La cattiveria è la vera natura dell’uomo, e i suoi effetti ci vengono descritti in tutta la loro durezza, senza soffici giri di parole.
Ma il segreto di Crumley risiede proprio nel modo in cui ci descrive tutto questo. Come per volerci rassicurare, il suo linguaggio è costantemente venato d’ironia, la narrazione puntellata da dialoghi brillanti e vivaci, alternati a passaggi di una malinconia quasi dolorosa.
James Crumley si spegne il 17 settembre del 2008. Lascia in eredità il racconto della sua personale e onesta visione del mondo, senza ipocrisie o inganni.
Un mondo in cui vivere può essere un’esperienza terribile, ma dove è sempre possibile trovare un bar aperto, e un amico seduto al bancone pronto a offrirti una birra e una spalla su cui piangere.
Cristiano Idini
Bibliografia
Serie di Milton Chester Milodragovitch
1975 – Il caso sbagliato (The Wrong Case)
1983 – La cattiva strada (Dancing Bear)
2001- La terra della menzogna (The Final Country)
Serie di C.W. Sughrue
1978 – L’ultimo vero bacio (The Last Good Kiss)
1993 – L’anatra messicana (The Mexican Tree Duck)
1999 – La scrofa messicana (The Mexican Pig Bandit) racconto apparso nell’antologia “The Dark Side“
2005 – Una vera follia (The Right Madness)
Serie di Milodragovitch e Sughrue
1996 – Il confine dell’inganno (Bordersnakes)
Altri romanzi
1969 – Uno per battere il passo (One to Count Cadence)
Racconti, raccolte di racconti, articoli e sceneggiature
1987 – Pigeon Shoot (sceneggiatura)
1988 – Whores (raccolta di racconti)
1991 – Muddy Fork and Other Things (racconti, saggi e articoli)
1996 – Sorgenti calde (Hot Springs)
2003 – Ostaggi (Hostages)
Riferimenti & Approfondimenti:
James Crumley su Wikipedia
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