Carlos Ruiz Zafón, uno che ha saputo ambientare grandi misteri letterari tra le ramblas della sua Barcellona, ha dichiarato candidamente che uno dei più grandi scrittori, se non il più grande, degli ultimi cinquant’anni di cognome fa Cornwell.Inutile chiedersi se si tratta del Bernard cavaliere alla ricerca del Graal con i suoi romanzi, o della Patricia creatrice di Kay Scarpetta e della sua fortunatissima serie. Zafón risponderebbe che il suo nome è David John Moore Cornwell e che è meglio conosciuto con lo pseudonimo di John Le Carré.
Questo signore inglese classe 1931 è, senza dubbio, il protagonista assoluto della scena internazionale sul fronte delle spy-story ed ha raggiunto una popolarità che, sempre secondo Zafón, gli rende nemici i grandi intellettuali che in fondo lo apprezzano ma lo considerano troppo “pop” per tesserne pubblicamente le lodi.
Lontano dalla ricerca della notorietà ad ogni costo, Le Carré fu un agente segreto, dopo la laurea in letteratura tedesca. Reclutato dall’MI6, il servizio di intelligence per l’estero della Corona britannica, esordì nel 1961 con il suo primo romanzo Chiamata per il morto, in cui comparve per la prima volta il suo alter ego, ovvero il formidabile Smiley, un James Bond molto meno appariscente, luccicante e “cinematografico”.
Caratteristiche dell’intera produzione dell’inglese sono la critica alle guerre di spie senza ideologia e l’incredibile capacità di viaggiare in parallelo con i tempi, narrando in forma romanzesca, ma molto fedele, gli anni della Guerra Fredda e degli “scambi di cortesie” tra il blocco anglo-americano e quello sovietico. Un agente doppiogiochista fece saltare la sua copertura e quindi terminò anche la sua esperienza di spia, ma non la sua attività di narratore. Anzi. Prese spunto dalla sua vicenda per un altro romanzo, La talpa, che ha visto una recente riproposizione cinematografica, e completò con L’onorevole scolaro e Tutti gli uomini di Smiley la cosiddetta trilogia di Smiley. È paradossale come il personaggio di maggior importanza all’interno dei romanzi di Le Carré, ricopra invece un ruolo del tutto marginale nel suo capolavoro, o per lo meno l’opera che lo consacrò sul panorama letterario come grande autore di spionaggio, cioè La spia che venne dal freddo, un must per gli amanti del genere che si aggiudicò il premio Gold Dagger nel 1963 e il premio Edgar nel 1965.
La lenta distensione dei rapporti tra le forze internazionali e la fine della Guerra Fredda misero in crisi l’intero genere, ma dopo un periodo di silenzio l’inventore di Smiley tornò con romanzi che indagano aspetti diversi dello spionaggio: dal commercio internazionale della droga ne Il direttore di notte alle aziende farmaceutiche senza scrupoli ne Il giardiniere tenace, fino al terrorismo islamico nell’ultimo romanzo Una verità delicata. Del resto se il mondo dello spionaggio è in continua evoluzione, anche tecnologica, c’è bisogno di un testimone letterario capace di reinventarsi.
Senza mai perdere il britannico aplomb e l’amarezza per un mondo corrotto venduto per soldi e lontano dagli ideali, John Le Carré ha scritto, e speriamo continui a farlo, pagine straordinarie di un genere “pop”” che piace agli intellettuali, anche se non lo ammettono. E se amate Zafón, sappiate che in qualche personaggio, in qualche ambientazione, potrebbero esserci i caratteri di Smiley o le strade in penombra della Germania divisa, raccontati dall’abile penna di David John Moore Cornwell, alias John Le Carré.
Marco Brero
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